Il Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Napoli,
con sentenza del 5 marzo 2013, ha condannato l'ASL di Napoli a pagare ad un suo
dipendente, difeso dall' avv. Domenico Carozza, giuslavorista della CISL, la
somma di 30.000 euro per i danni causati da demansionamento. Il Giudice ha
riscontrato che dal 2007 al 2010 il dipendente è stato privato completamente
del suo profilo professionale per essere state affidate a ditte esterne le
stesse mansioni che egli svolgeva. Allo stesso dipendente erano state, ad
esempio, annullate tutte le password per accedere ai programmi di
telecomunicazioni centrali e periferiche nonché gli era stato vietato di aprire
i ticket: tutti compiti che prima svolgeva in ragione del suo ruolo
all'interno dell'Azienda. Secondo il
Giudice, che ha accolto la tesi della difesa del lavoratore, si è realizzato
una violazione dell'articolo 2103 del codice civile che fissa il principio di
equivalenza delle mansioni a secondo cui il datore di lavoro di adibire il
lavoratore alle mansioni di assunzione o a quelle corrispondenti alla categoria
superiore che abbia successivamente acquisito. La stessa previsione del codice
civile codicistica nega perentoriamente la possibilità di modifica in pejus
della posizione professionale: l’eventuale demansionamento o dequalificazione
si configura pertanto, come nel caso affrontato, come un inadempimento
datoriale e vero e proprio illecito contrattuale. Per la quantificazione del
ristoro, il Tribunale ha fatto ricorso al criterio equitativo che si evince
dalla lettura degli articoli 1226 e 2056 del codice civile e dell'articolo 432
del codice di procedura civile. E' stato adottato come parametro per stabilire
il danno occorso la retribuzione del lavoro: si è ritenuto che si tratta di un
elemento commisurato, per la massima parte, al contenuto professionale delle
mansioni che, nel caso scrutinato, è stato impoverito a causa
dell'annientamento delle prestazioni proprie della qualifica.