06 luglio 2010

QUEST'ANNO NON SARA' VASTO AD OSPITARE LA FESTA NAZIONALE DELL'IDV, MA L'APPUNTAMENTO E' SOLO RIMANDATO.


“La festa nazionale dell'Italia dei Valori, quest'anno, per la prima volta, non verrà celebrata nella splendida cornice di Palazzo D'Avalos a Vasto”. L'annuncio arriva da Paolo Palomba (nella foto), consigliere regionale dell'Italia dei Valori, che spiega le motivazioni della scelta del partito: “La decisione, seppur presa a malincuore, si è resa necessaria a causa del protrarsi dei congressi regionali dell'IdV che hanno fatto slittare l'appuntamento a fine ottobre e non più a settembre, come di consueto. Saranno oltre 4000 le presenze e in quel periodo dell'anno non è stato possibile individuare nella città di Vasto una location idonea ad ospitare nel migliore dei modi tutti i visitatori”. “Ma sono sicuro – conclude il consigliere Palomba - che già dall'anno prossimo, quando l'appuntamento tornerà ad essere celebrato in settembre, ci ritroveremo, come da quattro anni a questa parte, tutti insieme a festeggiare gli obiettivi raggiunti e ad illustrare le sfide future dell'Italia dei Valori nella nostra bellissima Vasto”.


Fonte: Comunicato Ufficio comunicazione IDV Abruzzo

La verità scientifica circa il taglio degli alberi a Bocca della Selva.


Spettabile Redazione, sono Tito Angelini, dottore forestale libero professionista in Piedimonte Matese e vorrei parlare, da professionista della materia, del taglio colturale del bosco a Bocca della Selva. Incidentalmente, sono il direttore dei lavori in oggetto, ma non è per difendere il mio operato che scrivo, non ho alcuna difesa d’ufficio da fare. Infatti, a ben guardare, si metterebbe in discussione la progettazione dei lavori, che non è stata opera mia, ma non è questo che mi interessa. Invece, scrivo soltanto perché, senza arrampicarmi sugli specchi, vorrei provare a fare chiarezza sull'intera vicenda, seguendo esclusivamente i dettami della scienza. Già, perché il bosco è studiato da un corpus di discipline scientifiche, le "Scienze Forestali", appunto, e credo che l'origine del gran chiasso mediatico che si sta facendo, sia proprio legata all'assoluta mancanza della, seppur minima, cognizione di causa. Parlando di boschi e di gestione dell’ambiente montano, lo scrivente, immodestamente, si ritiene esperto per aver conseguito una Laurea in Scienze Forestali, per essere iscritto ad un Albo Professionale specifico e per il fatto di svolgere, da oltre venti anni, e quotidianamente, una attività professionale nel settore della selvicoltura e dell'assestamento forestale, per la quale si vede rivolgere, appunto, richieste di pareri tecnico/scientifici in materia forestale. Circa le altre persone che stanno discettando sull’argomento, non ricordo di averne mai letto i nomi negli elenchi dei professionisti abilitati alla gestione del bosco e, pertanto, leggere le loro elucubrazioni in merito, mi colpisce alquanto. Credo sia doveroso, prima di criticare pubblicamente l'operato di altri, essere a conoscenza dell'argomento di cui si pretende di impartire lezioni e, soprattutto, è facile criticare e basta, ben più difficile è, invece, fornire indicazioni alternative, particolarmente se per farlo bisogna possedere competenze accademiche specifiche, che non si hanno e di cui si ignora addirittura l'esistenza. Per di più, la terminologia scientifica utilizzata senza averne padronanza fornisce l’esatta valutazione di chi la usa. Queste persone hanno mai sentito parlare di selvicoltura, dendrometria, assestamento forestale, tecnologia forestale? Sono tutte discipline scientifiche afferenti alle scienze forestali (e bisogna averle studiate all’Università). Oppure qualcuno è davvero convinto che ci siano in giro dei forsennati che, improvvisamente ed improvvidamente, non avendo di meglio da fare, si rechino in bosco ed inizino a tagliare alberi? La foresta (o bosco) mai interessata dall’attività umana, che esiste nella sua condizione originaria, come la cosiddetta “foresta primaria” (definita anche “foresta vergine), può rinnovarsi, crescere, invecchiare e morire da sola, perché l’altissimo numero di specie vegetali ed animali presenti, le interazioni che si stabiliscono tra le varie specie e tra esse e l’ambiente fisico che le ospita, ne garantisce uno stato di equilibrio relativamente stabile, grazie al forte potere di autoregolazione esistente. Questi processi di autoregolazione consentono all’ecosistema di opporsi a scompensi e a conservare nel tempo la propria stabilità strutturale e funzionale, a meno che non intervengano sensibili variazioni climatiche. Si parla, in proposito, di omeostasi, intesa come la tendenza all’equilibrio delle popolazioni animali e vegetali, come risultato di meccanismi dipendenti dalla densità e operanti sul tasso di natalità, sopravvivenza e morte (stabilità). Al contrario, nella foresta antropizzata (interessata dalla varie attività umane: pascolo; tagli, magari anche irrazionali), semplificata nella struttura e nella composizione, il numero di specie presenti è sensibilmente inferiore, così come, è ovvio, le relazioni instaurantesi tra loro; ne consegue una minore stabilità. La foresta antropizzata raramente può, in tempi brevi, rinnovarsi da sola, senza l’intervento dell’uomo. L’evoluzione naturale incontrollata, inizialmente, ridurrebbe le possibilità di sopravvivenza della rinnovazione naturale delle specie più esigenti. I giovani soggetti, da soli, non sarebbero in grado di sostituire gli alberi adulti già morti. I boschi matesini, tutti fortemente antropizzati, qualora privati degli interventi colturali, sarebbero condannati, in tempi brevi, a mutare l’aspetto attuale e, forse, anche ad estinguersi. La foresta antropizzata è così assuefatta all’intervento umano, che non può fare a meno di esso per mantenersi in equilibrio, anche se instabile ed artificialmente indotto. La foresta deve essere gestita. Il concetto di lasciare la copertura forestale all’evoluzione naturale può essere condiviso solo se veramente si tratti di foresta vergine. Però questa non esiste più, almeno nelle nostre regioni. Analizzare e prendere le decisioni, utili caso per caso, è compito dell’assestamento forestale. L’assestamento consiste nella pianificazione delle attività da compiere in bosco, così che esso possa svolgere tutte le proprie funzioni: idrogeologica, produttiva, turistico-ricreativa, paesaggistica, ecc. Lo strumento di pianificazione forestale, redatto con le finalità sopra esposte è il “Piano di Assestamento Forestale” (P.A.F.). Il piano di assestamento forestale è un documento di importanza fondamentale, di durata decennale, in cui viene realizzato l’inventario dei beni forestali di proprietà comunale e, successivamente, la pianificazione degli interventi colturali necessari per ottenere le finalità dell’assestamento forestale. Il piano di assestamento mira essenzialmente al miglioramento delle condizioni ecologiche della foresta, assicurando la continuità della copertura forestale e delle sue funzioni, in tutti i casi. Il P.A.F. è redatto in base a precise disposizioni normative (in Campania, attualmente, la L.R. 11/1996 - legge forestale regionale) ed è soggetto ad approvazione dei competenti Organi regionali. Quando approvato, il P.A.F. assume forza di Regolamento di legge. Tutte le operazioni necessarie per ottenere le finalità dell’assestamento forestale si concretizzano in interventi selvicolturali da realizzare in tempi, luoghi e modalità che sono esattamente definiti nello stesso piano di assestamento. Questi interventi, quali i tagli boschivi e tutte le attività selvicolturali, anche connesse al miglioramento o ripristino dei soprassuoli arborei degradati, sono attività strettamente coerenti e funzionali alla conservazione della copertura forestale. Tutti gli interventi in bosco (principalmente i tagli) vengono regolarmente e scientificamente progettati, e sono assolutamente soggetti alle norme della legge sopra richiamata (e non solo essa) e necessitano di un complesso iter amministrativo, per poter essere autorizzati. Il taglio degli alberi a Bocca della Selva era regolarmente previsto nel P.A.F., è stato realizzato in seguito ad una regolare progettazione e, soprattutto, ha preventivamente conseguito tutte le autorizzazioni e pareri previsti dalla legge. Pertanto, bisogna stare attenti quando si parla di “taglio illegittimo di oltre 2000 faggi di alto fusto su circa 30 ettari di bosco” e di “distruzione … omissis …. camuffata mediante improbabili leggi e regolamenti e con il placet di Regione, Provincia e Comune”: si potrebbe anche essere chiamati a risponderne in giudizio. Arrivando allo specifico, sul web e sui quotidiani si leggono numeri lanciati a caso, magari in seguito a “qualche informale indagine”, al solo scopo, immagino, di impressionare il lettore. Prescindendo dal fatto che, ripeto, prima di straparlare, sarebbe opportuno informarsi compiutamente, sembra anche che qualche informale indagatore non sia in grado di leggere un progetto né, ancor peggio, sappia far di conto. Leggo sul web di “... un totale di 70000 quintali di legna ...” da tagliare: nella relazione del progetto (atto formale ed ufficiale) è scritto che la massa legnosa da abbattere è di 1.610 tonnellate che, nel sistema metrico decimale (che, sembra, in Italia si insegni già nella scuola elementare), equivalgono a 16.100 quintali, altro che 70.000! Leggo anche che “La superficie di bosco destinata al taglio è di circa 30 ettari”. Nel progetto di taglio del bosco è scritto chiaramente che la superficie destinata al taglio è, in realtà, di circa 41 ettari (40,91 per la precisione). Quante persone sanno quanto sono estesi 40,91 ettari di territorio? Un ettaro equivale a 10.000 metri quadrati e, quindi, sempre nel sistema metrico decimale, 40,91 ettari sono 409.100 metri quadrati. In termini di paragone, usando simboli più largamente comprensibili, 40,91 ettari equivalgono a oltre 57 volte il terreno di gioco dello stadio Meazza di Milano. Poi, sembra che si voglia trasmettere l’idea che si abbatteranno tutti gli alberi dei trenta (o quaranta) ettari e ciò non è affatto vero, gli alberi da tagliare (in numero preciso di 2.076) rappresentano soltanto una minima parte degli alberi presenti e, per di più, non sono tutti alberi grossi, ce ne sono di tutte le dimensioni. Sui 40,91 ettari interessati dal taglio sono presenti (è scritto nel P.A.F., ammesso che se ne conosca l’esistenza e, soprattutto, si sia in grado di leggerlo) 11.618 piante. Abbattere 2.076 piante su 11.618 significa eliminare il 17,86% degli alberi presenti. In termini di massa legnosa (è scritto sempre nel P.A.F.), le 11.618 piante pesano 92.750 quintali. Eliminare piante per un peso di 16.100 quintali significa asportare il 17,35% della quantità di legno presente. Considerato che (come insegna la tecnica selvicolturale e come da prescrizioni del P.A.F.) in siffatto bosco sarebbe necessario tagliare circa il 25% della massa legnosa presente, è matematicamente indiscutibile il fatto che si stia agendo con criterio oltremodo prudenziale. Tagliare ancor meno non farebbe affatto il bene del bosco, perché la presenza di una copertura di chiome troppo folta renderebbe impossibile la nascita delle giovani piantine (per la scarsità di luce al suolo) e, senza il taglio colturale scientificamente eseguito, quando saranno naturalmente morti gli alberi adulti (piaccia a no è questo che succederà: ogni vivente, prima o poi, muore), senza che essi abbiano potuto rinnovarsi, potrebbero non esserci più gli alberi grandi, né quelli piccoli, ossia potrebbe sparire il bosco: è ciò che si vuole? Gli alberi da abbattere, grandi e/o piccoli, sani e/o malati che siano, vengono scelti singolarmente, uno per uno, seguendo un criterio scientifico che si apprende in ambito accademico e si consolida con l’esperienza professionale. Ogni bosco ha una propria storia ed un proprio presente ecologico e sono questi i fattori che guidano il selvicoltore nella gestione del bosco; solo il selvicoltore sa “leggere” il bosco, nessun altro. La selvicoltura è la traduzione in pratica dell’ecologia forestale e la determinazione del numero di piante da abbattere per ogni bosco discende dalla precisa applicazione di una tecnica selvicolturale perfezionata da secoli e secoli di fattive esperienze. Vuoi vedere che occorre davvero una laurea in Scienze Forestali? E’ l’applicazione della selvicoltura che protegge e conserva il bosco. Di tanto esiste ampio e soddisfacente riscontro tecnico-scientifico nella letteratura forestale italiana (vedasi: Pavari, De Philippis, Cappelli, Ciancio, La Marca, Bovio, Hippoliti, ecc.) ed europea. Blaterare astrattamente di distinzione tra “bosco produttivo” e “bosco protetto” così come si legge in giro serve solo ad aumentare la confusione e, forse, ma spero di no, a gettare ombre su un settore accademico e professionale già ordinariamente negletto. A chiunque volesse conoscere, anche in breve, solo per migliore comprensione di alcuni fenomeni, cosa siano le scienze forestali e come funzioni, realmente, un ecosistema boschivo, offro volentieri la mia disponibilità: oltre a fare “selvicoltura” è giunto il tempo di fare anche “selvicultura”. Allego una foto, scattata in data 04/07/2010 dall’amico prof. Mario L. Capobianco, che ritrae proprio la zona boschiva oggetto di taglio, un mese dopo l’inizio dei lavori. Se qualcuno è in grado di farlo, indichi dove sarebbe lo “scempio ambientale”!

Cordiali saluti. dott. for.
Tito Angelici
PIEDIMONTE MATESE (CE)

INCONTRO DI QUARTIERE IN LOCALITA' SANTA LUCIA.


PIEDIMONTE MATESE. In linea con gli incontri dei mesi scorsi nei diversi rioni dei Piedimonte Matese, l'amministrazionecomunale di Vincenzo Cappello (nella foto) continua a portare avanti l'intento di cercare un contatto diretto con la cittadinanza, organizzando pubblici dibattiti per ascoltare da vicino la voce della gente. E così, dopo le tappe al rione Vallata, Sepicciano e San Sebastiano, è stata la volta di un'altra popolosa zona del capoluogo matesino. Si tratta dell'area di Santa Lucia e Monticelli, i cui abitanti, hanno avuto l'opportunità di confrontarsi a tu per tu con gli amministratori della propria Città, avanzando proposte e quesiti. L'assessore ai lavori pubblici Antonio Ferrante ha illustrato i lavori che sono in programmazione per la zona, a cominciare dalla rete fognaria e agli interventi alle strade, fino quelli per l'illuminazione pubblica. Soddisfatto il sindaco Cappello, il quale sottolinea che "per la prima volta in città vengono adottate iniziative simili, uno strumento valido per ascoltare in maniera diretta la voce dei cittadini, così da riuscire a rendere più efficace la nostra politica". E' previsto per giovedì prossimo invece un nuovo incontro del tour itinerante, che sarà indirizzato questa volta agli abitanti di via Aldo Moro.


c.s.

Incontro tra sigle sindacali e mondo dell’associazionismo per approfondire le problematiche del mondo del lavoro nella provincia di Caserta .

CASERTA. Si conclude con la proposta, promossa dal Segretario Generale della CISL Caserta Carmine Crisi, di un nuovo incontro tra sigle sindacali e mondo dell’associazionismo per approfondire le problematiche del mondo del lavoro nella provincia di Caserta e “far fronte unitario e poter poi riproporre l’esperienza anche al di fuori dei confini della provincia”.
La giornata dedicata alla sensibilizzazione sul tema del Lavoro Dignitoso, svoltosi all’Hotel Europa nella mattinata di ieri, ha visto al tavolo degli intervenuti, oltre Carmine Crisci, Camilla Bernabei, Segretaria Generale della CGIL Caserta, Massimiliano Santoli, Presidente del Gruppo giovani imprenditori di Confindustria Caserta e Angelo Petrocelli, Direttore dell’Ufficio Provinciale del Lavoro di Caserta. Non sono mancati momenti difficili anche all’interno di una discussione che si è sviluppata in un clima sereno e costruttivo. Momenti rappresentati dall’intervento di Stefano Cutillo, operaio della ex-3M da anni in cassa integrazione “Lavoro Dignitoso… a noi lavoratori, o meglio ex tali, ci andrebbe bene anche solamente parlare di lavoro!”. Intervento che ha centrato, con semplicità e schiettezza, la tematica dell’incontro: la persistenza di condizioni di criticità nel circuito lavorativo non fa altro che alimentare una concorrenza al ribasso nelle condizioni contrattuali dei lavoratori di tutto il globo. Quella di ieri ha rappresentato solo una tappa fra gli appuntamenti di sensibilizzazione sul tema del Lavoro Dignitoso che da tempo ARCI, ACLI, CGIL, CISL e UIL. promuovono o promuoveranno in tutta la penisola. La violazione del diritto alla libertà di associazione e quello alla contrattazione collettiva, le svariate forme di discriminazione che colpiscono indistintamente i lavoratori di ogni parte del globo, hanno di fatto prodotto un sempre maggior degrado delle condizioni lavorative nelle quali le masse operaie e impiegatizie mondiali si trovano quotidianamente ad operare. Il decadimento dei diritti sanciti dalle leggi internazionali ha avuto una correlazione inversa con l’inclusione nel mercato mondiale dei paesi meno sviluppati. Correlazione inversa dovuta a diversi motivi. Alle legislazioni poco sviluppate di alcuni di essi, alla presenza di dittature temporanee, alla scarsa sensibilità dei governi o degli stessi lavoratori, in genere poco scolarizzati e poco consapevoli dell’esistenza di leggi a loro difesa. Sono solo alcuni degli aspetti di uno dei tempi più scottanti che il mondo del lavoro salariato si trova ad affrontare nel terzo millennio.



UFFICIO STAMPA

Alessandro Dorelli




I giovani del Partito Democratico a difesa dell'Università.


Piedimonte Matese- Molto spesso si confonde l’Università come un servizio. Questo è il motivo principale della sua aziendalizzazione, e questo è anche il motivo principale per cui da servizio diventa disservizio. E’ quello che sta accadendo in questi giorni. La manovra economica, votata in Parlamento, è lo specchio di questo Governo, che non crede nella Ricerca, nell’Istruzione, nella Cultura e nei Giovani; che mortifica la professionalità dei Docenti universitari, che uccide la Ricerca e annichilisce il ruolo del Ricercatore. La manovra economica è sbagliata, perché taglia e non razionalizza le risorse. Da qui nasce la protesta dei ricercatori e dei docenti della Seconda Università di Napoli, che, come i colleghi di altre università italiane, hanno deciso di sospendere gli esami di profitto e di laurea. Le facoltà al momento interessate sono quelle di Ingegneria, Biologia e di Scienze Politiche. E gli effetti di questa politica economica baronale e delle sue conseguenti e legittime disfunzioni in segno di protesta sono caricate sulle spalle dei nostri amici studenti. In Italia non c’è un Governo che tuteli il diritto allo studio, non c’è un Governo che difenda il diritto di ogni studente a sostenere gli esami. C’è solamente un Governo dalle Mani di Forbici che dimostra di non saper gestire le risorse e di non saper ottimizzare i servizi. E in più non c’è una classe politica di governo che pensa che l’Istruzione sia la base della nostra società, perché contenitore ed espressione di Lavoro, Cultura, e Legalità. “Per questi motivi chiediamo a tutte le rappresentanze degli studenti della Sun di chiarire le loro posizioni sul disastro che il malgoverno sta creando nell’ Università” affermano Marco Villano (nella foto), segretario provinciale dei GD di Caserta, e Alessandro Riccitelli responsabile all’università di Piedimonte Matese. “Chiediamo ulteriore chiarezza e trasparenza nello spiegare a tutti gli studenti cosa si è fatto per evitare il sorgere di questo problema e su come sono stati spesi gli ingenti finanziamenti regionali devoluti all’Università pochi mesi fa”.
Pietro Rossi

La Traversata del Parco Regionale del Matese da Cerreto Sannita a Capriati al Volturno.


PIEDIMONTE MATESE. Una settimana nel cuore del Parco per vivere in prima persona gli incantevoli paesaggi del tratto della traversata del Matese, dai boschi ai laghi di Gallo, Letino, Matese, dalle vette delle montagne ai pianori carsici, dai pascoli ai sentieri del brigantaggio, in un incontro di natura, cultura, storia, sport e curiosità. La Traversata del Matese che si terrà dal 9 al 15 agosto 2010, non è solo il sentiero del Parco, ma un’esperienza per immergersi nell’ambiente e nell’essenza dei territori di montagna Un itinerario di trekking di interesse ambientale, naturalistico, culturale, gastronomico di circa 90 chilometri che si svolge in sette giorni e coinvolge il territorio del Parco Regionale del Matese in tutta la sua lunghezza, collegando i due estremi opposti: Cerreto Sannita e Capriati a Volturno. L’evento Traversata del Parco vuole essere un ‘occasione per vivere una esperienza unica, sensoriale, ricca di emozioni, che offre la possibilità di immergersi nell’essenza dei territori montani, di vivere gli incantevoli e suggestivi luoghi della natura, ecosistemi complessi come il bosco, i laghi, i pianori carsici, di conoscere i vari aspetti del nostro Parco, di interagire con il territorio attraverso una esperienza diretta e condivisa. Questo percorso è stato ideato dal CAI Sez. di Piedimonte Matese in collaborazione con il Centro di Educazione Ambientale Castello del Matese, con il patrocinio morale dell’Ente Parco Regionale del Matese ed è caratterizzato da punti di forza quali: • sostenibilita’: poche persone al giorno, in proporzione alla capacità delle strutture ricettive e del territorio; si propone come itinerario ecoturistico, sostenibile e naturalisticamente molto interessante; • cammino consapevole e di conoscenza: no tour de force, no gesto atletico, si ecoturismo; • interazione con il territorio: comuni, proloco, associazioni, ecc. Il raduno è fissato alle ore 7.00 in Piedimonte Matese, presso la piazza della Stazione Ferrovia Alifana Qui sarà organizzato un ponte auto fino al punto di inizio escursione. Partenza in auto da Piedimonte Matese ore 7.30. Inizio escursione a piedi ore 8.30. Gli orari sono suscettibili di variazioni. Il percorso è complessivamente classificato come escursionistico (E). Esso si sviluppa su sentieri, viottoli e stradine rurali, in parte su fondo naturale, in parte su fondo cementato ed in parte su asfalto . Il tracciato del percorso varia di anno in anno, in relazione alle migliori opportunità, sia per i punti acqua che per le possibilità di pernotto che per la partecipazione ad eventi particolari lungo il cammino. Lo spirito che deve contraddistinguere il partecipante è quello dell’avventura e della scoperta, della capacità di adattamento alle situazioni più disparate, compreso l’alloggio di fortuna. La lunghezza complessiva del percorso è di circa 90 km, con tappe medie di circa 13 km al giorno, con estensione massima di 25 km. Il dislivello massimo non supera gli 850 mt, ma in media si attesta tra i 300 ed i 600 mt al giorno. Dislivello max in salita: 850 mt Disl. max in discesa: 650 mt Quota max 1535 mt ca. Tutto il trekking viene svolto in sette giorni, dal lunedì mattina alla domenica pomeriggio. Non viene vissuto come un tour de force, ma come una passeggiata piacevole, sebbene bisogna rispettare un minimo di tabella di marcia per giungere a destinazione in tempi ragionevoli per l’organizzazione complessiva, che coinvolge non solo i partecipanti, ma anche altri soggetti. La percorrenza media è di 7-8 ore di cammino al giorno, incluso le soste. Spesso c’è anche il tempo per un breve riposino pomeridiano. La durata delle soste è in funzione della velocità di marcia. Data la stagione, dovrebbe esserci alta pressione e tempo bello, ma non si possono escludere piogge e temporali estivi, per cui bisogna essere preparati ed equipaggiati opportunamente. La partecipazione all’escursione è aperta a tutti i soci ed, eccezionalmente, anche ai non soci e simpatizzanti. La copertura assicurativa prevista per i soci in regola con il versamento della quota sociale, in caso di intervento del Soccorso Alpino e Speleologico NON è estesa ai non soci. Occorre prenotare la propria partecipazione entro il 20 luglio 2010, versando una quota di € 50,00 a persona, quale acconto sulle spese di organizzazione, sul C/C postale n. 51613123 intestato alla Sezione di Piedimonte Matese, indicando la causale “Traversata del Parco 2010”, e inviando la scheda di partecipazione compilata ai recapiti indicati dagli organizzatori dell’escursione di seguito riportati: sandro.furno@libero.it (n.b. la scheda sarà scaricabile dal sito www.caipiedimontematese.it o potrà essere richiesta all’indirizzo mail predetto). I partecipanti devono essere fisicamente preparati e con abbigliamento ed attrezzatura adeguati all’esigenza dell’escursione; attenersi esclusivamente alle disposizioni impartite dal Direttore di Escursione; seguire gli itinerari stabiliti non allontanandosi dal gruppo; collaborare con il Direttore di escursione per la buona riuscita della stessa. Per i non Soci: E’ possibile attivare, a richiesta, le seguenti coperture assicurative: - Infortuni: assicura i non Soci nell’attività sociale per infortuni (morte, invalidità permanente e rimborso spese di cura). - Soccorso alpino: prevede il rimborso di tutte le spese sostenute nell’opera di ricerca, salvataggio e/o recupero, sia tentata che compiuta. Le escursioni del CAI, coerentemente alla loro natura, pongono i loro partecipanti di fronte a rischi ed ai pericoli inerenti la pratica dell’escursionismo o di altre attività di montagna. I partecipanti, pertanto, iscrivendosi alle escursioni sociali, accettano tali rischi e sollevano da qualsiasi responsabilità la Sezione CAI, i Direttori di Escursione e i collaboratori, per incidenti ed infortuni che dovessero verificarsi durante l’escursione. Si consiglia abbigliamento da escursionismo a strati (t-shirt tecnica, pile leggero, k-way o mantella impermeabile). Pantalone lungo, calzettone alto. Scarpe da trekking obbligatorie Si rammenta una lista di oggetti indispensabili per ciascun escursionista: - Contenitore per cibarie rigido; - Borraccia (min. 2 lt.) - -K-way o mantella impermeabile; - Ricambio del vestiario, protetto in buste impermeabili; - Copricapo - Coltellino multiuso - Documento di identità, Annotazioni gruppo sanguigno ed eventuali allergie, tessera sanitaria, tesserino CAI, numeri da chiamare in caso di emergenza.


Pietro Rossi

Sospesa la III^ finestra temporale delle Work Experience.


Comunicato Stampa



Sospesa la III^ finestra temporale delle Work Experience

La Regione Campania lo scorso anno ha emanato i Bandi Regionali per le Work Experience come azione di sistema per far fronte all'emergenza occupazione, inserendoli nel Programma Integrato per favorire l’inserimento occupazionale nella nostra regione. L’iniziativa di attivazione dei percorsi Work-experience è stata rivolta unicamente alle imprese, di qualsiasi dimensione regolarmente iscritte nel Registro delle imprese e aventi le unità produttive nel territorio della Regione Campania. Il Centro per l’Impiego di Piedimonte Matese porta a conoscenza dell’utenza e delle aziende interessate che la Regione Campania in data 30.06.2010 con D.D. n.111 dell’ A.G.C. 12 Area Generale di Coordinamento: Sviluppo Economico, avente ad oggetto: “Programma integrato per favorire l'inserimento occupazionale in Campania D.G.R. 1262/2009 - Avviso pubblico di cui al D.D. n. 133/2009 - Sospensione III finestra temporale”, ha sospeso i termini di presentazione delle istanze di partecipazione alla III “finestra temporale”, 5-30 luglio, del Programma integrato per favorire l’inserimento occupazionale in Campania di cui al D.D. del Settore n. 133 del 6/10/2009.
Fonte: Comunicato Stampa Centro per l'Impiego Piedimonte Matese

LIMATOLA E IL SUO? BORGO “SENZA MESTIERI” .


Spett.le direttore, mi preme innanzitutto ringraziarLa per la visibilità che recentemente il suo giornale ha fornito alla mia lettera avente ad oggetto le problematiche riscontrate in una visita alla Reggia di Caserta. E’ proprio grazie all’azione mediatica della sua e di altre testate che la stessa ha sortito ottimi risultati, dando seguito ad una serie di interventi che i vari Enti interessati (Soprintendenza, Provincia, Comune, Ente Provinciale del Turismo, etc..) hanno e tuttora stanno attuando per migliorare le condizioni di fruibilità del monumento Vanvitelliano, a vantaggio del turismo e dell’indotto che ne deriva. Approfittando della sensibilità all’uopo dimostrata, è con mero opportunismo che Le invio alcune riflessioni su un’altra realtà, forse meno nota, ma altrettanto importante per lo sviluppo economico e sociale della comunità che la accoglie, qual è il borgo storico di Limatola. Dovrei aggiungere “e il suo castello medievale” ma non lo faccio di proposito per ovvie ragioni; seppur consegnata al recente passato, la vicenda legata alla sua mancata acquisizione al patrimonio comunale, tra l’altro per una modesta cifra, è cosa nota e ritengo costituisca la pagina più deprimente della storia Limatolese degli ultimi anni, dovuta all’assoluta incompetenza e incapacità della politica locale e in particolare della scorsa gestione dell’Ente Comunale. Assistere alle pubbliche discussioni dell’epoca laddove gli stessi amministratori locali accusavano e interrogavano il Sindaco sul perché del ritardato invio all’istituto mutuante di una richiesta di concessione del prestito necessario ad acquistare il castello, causa del mancato esercizio del diritto di prelazione, fu veramente triste! vedere consiglieri comunali, di maggioranza e di minoranza, eletti alla gestione del pubblico interesse, assumere e districarsi in un ruolo critico (alla stregua di comuni cittadini) nei confronti del Sindaco, ritenuto unico responsabile del disastro, fu veramente offensivo dell’intelligenza della cittadinanza intera! per la quale fu facile capire che era stato commesso un errore imperdonabile per la storia di Limatola e che la colpa era del Sindaco così come degli stessi interroganti e comunque dell’intero Consiglio Comunale! Tutti si sarebbero dovuti prodigare, nessuno escluso! e se i cittadini non mandarono immediatamente tutti a casa fu solo per un alto senso di responsabilità e fine intelligenza: capirono che così facendo avrebbero spazzato via tutte le possibilità di conquistare il castello. Come noto, le speranze furono vane. Alla luce dei fatti, parafrasando il detto “non tutti i mali vengono per nuocere”, a mio parere è andata sicuramente meglio così: difficilmente quella classe politica sarebbe stata in grado di gestire il recupero del castello, cosa a quanto pare riuscita ai nuovi privati proprietari. Oggi il castello è stato restaurato e rifunzionalizzato, ha recuperato l’originaria fierezza e ri-domina imponente il territorio e l’agglomerato urbano che lo soggiace. E proprio sul borgo storico vorrei accentrare l’attenzione con qualche, mi auguro, costruttiva considerazione. I centri storici, luoghi rappresentativi delle radici e l’identità locale, rappresentano nella maggior parte dei casi il baricentro della vita cittadina, il luogo naturale ove si concentra la vita sociale ed economica delle comunità locali. La forte attrazione che la storia del luogo, leggibile nei tessuti e spazi urbani consolidatisi nei secoli, esercita su chi vi vive e su chi proviene dall’esterno, fa sì che lì siano concentrate le attività commerciali di maggior prestigio, lì si svolgano le iniziative culturali di maggiore importanza, lì si organizzino le attività ricreative (vd. Sant’Agata dè Goti, Caiazzo, etc..). A Limatola ciò non è mai avvenuto per varie ragioni. La prima, naturale e storica, è dovuta alla presenza non di un centro urbano ricco di chiese e palazziate, rappresentativo di un potere politico-religioso del passato, ma di un borgo dall’impianto e dalle forme architettoniche semplici, tipicamente contadine, il cui sviluppo è sempre stato legato all’attività agricola e, comunque, subordinato alle vicissitudini dell’elemento rappresentativo che lo ha generato, qual è appunto il castello che lo sovrasta. Un agglomerato urbano apparentemente di poca consistenza e pregio, ma dalla indubbia unicità e attrazione per l’aver conservato inalterati i caratteri agricoli originari così come il rapporto con l’ambiente collinare di appartenenza. La seconda ragione è invece attuale ed è dovuta all’abbandono del borgo da parte dei suoi abitanti, indotto sia dalle radicali trasformazioni dell’economia agricola di cui è stato per secoli la diretta espressione, sia soprattutto dal completo disinteresse mostrato nei suoi confronti da parte degli Enti territoriali di appartenenza ed in particolare dal Comune. La scarsa attenzione ai bisogni primari e alle istanze dei residenti e conseguente assenza di interventi sulle aree pubbliche, perdurante ormai da decine e decine di anni, ha fatto sì che chiunque ne abbia avuto le possibilità si sia trasferito a valle, nel paese nuovo, più comodo e adatto alla vita moderna.
Quello che oggi ci ritroviamo è sotto gli occhi di tutti: un borgo in condizioni di vero degrado afflitto da una spontanea emarginazione, con gran parte dei fabbricati abbandonati a sé stessi, alcuni crollati o in fase di crollo a discapito della pubblica e privata incolumità, pochissime ricostruzioni e/o ristrutturazioni (comunque effettuate non conformandosi allo stile originario né al contesto di riferimento, a meno di qualche raro caso isolato), etc... Insomma, in luogo di quello che dovrebbe essere il fiore all’occhiello del paese, una materiale piaga che impietosa grava sulla visione prospettica Limatolese. Ebbene, l’attuale Amministrazione sembra abbia invertito la rotta. Già qualche anno fa si ebbero i primi accenni, seppur di scarsa efficacia e credibilità: una moltitudine di comunicazioni di avvio di procedimenti di esproprio, improvvisamente notificata a tanti privati proprietari di edifici del borgo, con la quale l’Amministrazione Comunale manifestava la volontà di acquisire al patrimonio comunale gran parte dei suoi edifici, pare per creare un “museo diffuso della storia e della civiltà locale”. Una cosa inverosimile, quasi fosse una punizione di massa, un esproprio collettivo come spesso avviene quando bisogna sventrare un quartiere per realizzare nuove strade e piazze o per realizzare autostrade, ferrovie, etc.. Fortuna volle che lo sconcerto iniziale degli interessati di fronte a un provvedimento così generico ma invasivo da parte del governo del paese, in un baleno si trasformò in diffusa ilarità: non esisteva alla base del provvedimento alcuna strategia programmatica e progettuale credibile, come tra l’altro sembrarono confermare alcuni componenti della stessa Amministrazione. Infatti, a tutt’oggi e, devo dire meno male, nulla più ha fatto seguito seppur, nel rispetto degli ipotetici espropriandi e soprattutto di chi tra essi ha speso quattrini per mostrare opposizione, ritengo sia doveroso ed opportuno che il Comune chiarisse tale episodio o quanto meno li informasse sugli sviluppi del procedimento, sulla carta ancora in essere. Ma a parte ciò, bisogna dire che oggi c’è veramente qualcosa di concreto: un progetto di recente appaltato per il “potenziamento e miglioramento della fruibilità turistica del borgo medioevale, ammontante a complessivi € 1.850.000,00 ca., finanziato dalla Regione nell’ambito delle risorse rinvenienti dal P.O.R. Campania 2000/2006, i cui lavori dovrebbero avere inizio a breve.
Al di là delle pur considerevoli risorse a disposizione, a parere del sottoscritto tale intervento assume una notevole importanza per Limatola e la sua cittadinanza. In primo luogo vi è il valore simbolico dell’intervento: significa riportare l’intervento pubblico in una zona che, a partire dalla sconfitta maturata nella contesa del castello, è stata inconsciamente consegnata interamente nelle mani del privato vincitore. Il restauro del castello, infatti, è stato vissuto dalla gran parte della cittadinanza e dai suoi rappresentanti come in lontananza, senza partecipazione, con l’innato interesse affettivo mascherato quasi fosse noncuranza. Il risultato è che oggi, pur apprezzando gli sforzi dei nuovi proprietari e riconoscendone comunque l’operato, già a partire dalla piazza antistante la chiesetta di S. Biagio e a seguire negli spazi e slarghi che conducono al maniero, le modifiche effettuate fan sentire forte il peso dell’intervento, che sovrasta e si contrappone alla pubblica proprietà e agli altri edifici del borgo (per fortuna, ad alleviare tale sensazione, cattura l’attenzione l’opera di restauro di un’antica dimora che un nostro concittadino, di nota cultura, sta con lungimiranza portando a termine nel rispetto dei luoghi e con materiali e tecniche di tradizione locale). Un senso di disagio misto a sopraffazione, certamente non indotto dalla proprietà del castello ma di chiara matrice nostalgica, comunque non ammissibile nel luogo simbolo delle proprie origini e tradizioni. Bilanciare, pertanto, l’intervento privato con quello pubblico significa ristabilire il giusto rapporto tra il borgo e il suo castello, rendendolo non conflittuale ma sinergico e complementare. L’unico modo per contemperare gli interessi e i sentimenti dei residenti e della cittadinanza intera con quelli degli attuali proprietari del castello.
In secondo luogo vi è il valore strategico dell’intervento. Trattandosi del primo vero e sostanziale intervento pubblico dopo decine e decine di anni di abbandono totale del borgo da parte delle Amministrazioni che si sono succedute, causa principale dell’esodo dei residenti, alla stregua di apripista i suoi contenuti dovranno essere diligentemente proiettati nel futuro in quanto costituiranno la base di partenza degli interventi a venire.
Spero quindi che il progetto comprenda tutti gli interventi necessari a rendere vivibile il borgo secondo le moderne esigenze (pavimentazioni, fogne, illuminazione, reti e cavedi di sottoservizi, etc..) ma, soprattutto, trovi la definitiva soluzione alle molteplici problematiche attinenti la sicurezza dei residenti e dei fruitori (mura pericolanti, scarpate in frana, indiscriminato deflusso delle acque meteoriche, etc..), causa principale del processo di spopolamento ancora in atto. Spero altresì che l’intervento sia attuato nel pieno rispetto delle proprietà private e delle configurazioni spaziali esistenti, limitando allo stretto necessario l’introduzione di nuovi elementi e lasciando inalterati alcuni singolari aspetti, tra cui la caratteristica viabilità in pendenza, già priva di barriere architettoniche.
A tali pur lodevoli obiettivi a breve scadenza prefissatisi dall’Amministrazione, sintomo ripeto di inversione di rotta, deve far seguito qualcosa di più importante: la previsione di scenari futuri per il borgo. Più che di interventi frammentari, c’è la necessità di pianificare una strategia integrata, una serie di azioni coordinate e programmate nel tempo che, in uno alla valorizzazione, inneschino quei processi di sviluppo economico locale necessari al suo mantenimento e a creare occupazione. In linea con gli orientamenti previsti nella programmazione regionale 2007/2013, una strategia che miri alla costruzione di un sistema laddove qualsiasi iniziativa, pubblica o privata che sia, non vada ad incidere solo sul singolo bene ma sull’”insieme” territoriale.
Ma qui il discorso diventa lungo, richiede studi specifici, estesi non solo al borgo ma all’intero territorio comunale, studi che spaziano dall’urbanistica al sociale e da tradursi negli attesi strumenti di sviluppo territoriale (Piano Urbanistico Comunale, Piano di Recupero, etc..), già avviati varie volte nell’ultimo trentennio e mai conclusi nonostante le risorse all’uopo sperperate (a riguardo Limatola è uno dei pochi paesi, se non l’unico, della Campania a non essere ancora dotato di alcunchè strumento di programmazione). Nulla sarà possibile realizzare senza prima aver analizzato e compreso i flussi dell’intero territorio per limitare le cause che finora hanno favorito il degrado e l’abbandono della parte antica del paese. Tra le quali ve ne è una che, a parere del sottoscritto, incide a dismisura e che è una diretta conseguenza dell’assenza di strumenti urbanistici di riferimento: la nota carenza infrastrutturale dell’intero territorio comunale. La vastità di quest’ultimo e la possibilità di edificare in qualsiasi luogo, sta tuttora comportando un’indiscriminata espansione in zone del tutto prive delle opere di urbanizzazione, con il continuo proliferare di una serie di obblighi da parte del Comune (tenuto a garantire le minime condizioni di vita civile laddove ha regolarmente autorizzato l’edificazione) che, pur producendo insignificanti risultati, assorbono gran parte delle già scarne risorse comunali. Certo è che, lungo o difficoltoso che sia, il processo che spero un giorno condurrà alla completa riqualificazione e valorizzazione del borgo storico deve, a mio parere, necessariamente passare attraverso due condizioni da perseguire fin da adesso: il giusto equilibrio sinergico del binomio inscindibile borgo-castello e il suo ripopolamento. Si, il ripopolamento del borgo piuttosto che la musealizzazione dell’esistente, lasciata intendere tra le righe della massificata azione espropriativa in precedenza richiamata. Limatola non si trova nella stessa situazione di S. Agata dè Goti o Caiazzo; il suo borgo potrà generare attrazione non in quanto ricco di stratificazioni storico-architettoniche di rilievo né di emergenze monumentali ma, come già accennato, per aver conservato l’originale impianto e i caratteri semplici di un architettura che è un tutt’uno con la vita di tutti i giorni, che per esprimersi ha bisogno delle stradine e viuzze frequentate, dei balconi grondanti di panni stesi e fiori e quant’altro. L’Ente Comunale deve con forza perseguire tale intento, invogliare i cittadini a ritornare nelle antiche case, a ricostruire secondo la tradizione locale (magari concedendo mirati bonus volumetrici necessari ad adeguare le case alle moderne esigenze, come peraltro pare sia stato già fatto per il castello), mettendo in campo tutte le possibili azioni sia “materiali”, tese al ripristino delle condizioni di vivibilità dei luoghi, sia “immateriali”, tese alla ricerca e alla divulgazione di tutte le opportunità di sviluppo perseguibili anche dai privati nell’ambito dei documenti di programmazione delle risorse statali e regionali; All’avvenuto rilancio del castello dovrà giocoforza corrispondere un forte slancio verso il suo borgo, con l’avvio di tutte quelle attività (propedeutiche e non) tese al suo completo recupero. E’ una condizione, a mio parere, essenziale e ineludibile avallata, tra l’altro, dai ricorsi storici: il castello e il borgo sono uniti da sempre, l’uno è sempre stato ragion di vita per l’altro, comuni le loro sorti e vicende. In mancanza Limatola perderà non solo la memoria storica di gran parte delle sue origini e tradizioni ma, di non meno importanza, qualsiasi possibilità di favorire nel tempo l’implementazione di quelle attività economiche legate al turismo capaci di diversificare un’economia locale che, come noto, oggi non appare più tanto florida come una volta. Se ancora oggi, nonostante l’impulso generato dal restauro del castello e dall’immagine del paese (un po’ rinvigorita) che esso veicola, a nulla di serio e concreto sarà dato inizio, Limatola intera ma soprattutto la politica che essa esprime, si avvieranno verso una seconda sconfitta, stavolta storicamente insanabile e imperdonabile.
P.S. il titolo che si è voluto dare a questo articolo vuole essere un riconoscimento alla locale ProLoco che, pur tra mille difficoltà, continua a portare avanti l’ardita opera di promozione del castello- borgo, soprattutto con l’annuale manifestazione “Il Borgo dei Mestieri”.

arch. Paolo Aragosa (nella foto)

L'On. Zinzi e l'Assessore Provinciale Puoti disertano il Convegno sulle opportunità turistiche di sviluppo.


PIEDIMONTE MATESE. Come era certo, ma senza che nessuno per questione di correttezza si era azzardato a scriverlo prima per non passare per il solito “Bastian Contrario”, oggi al Convegno sulla prova mondiale di parapendio il presidente della Provincia Domenico Zinzi e il suo assessore provinciale “tecnico” Carlo Puoti non sono ne intervenuti e ne tampoco si sono limitati alla solita, canonica, telefonata di scuse per “sopraggiunti improcrastinabili impegni istituzionali”. Cioè l’Alto Casertano per loro, evidentemente, non vale 2 centesimi ovvero la spesa di una telefonata con contratto “CONSIP” quello per intenderci che viene sottoscritto dalle cariche istituzionali, per dire “Vagliò nu’ vaenimm’” (tradotto in marcianisano). Eppure il numero di Vincenzo Cappello, Domenico Zinzi lo dovrebbe avere, visto che lo chiama spesso per chiedergli di passare dal Pd all’Udc e visto che proprio Zinzi si è formato in casa Cappello, dallo zio Dante. Scommetteremmo un milione contro un euro, che se il “Patriarca” era oggi sindaco, Zinzi sarebbe venuto a piedi da Caserta a Piedimonte Matese. Questo non per svilire la figura del nipote Vincenzo, che anzi sul piano delle iniziative non è da meno, ma per dare l’idea del debito politico e morale che proprio Zinzi ha nei confronti della famiglia Cappello. Ma questo è un altro discorso. Tornando al convegno, il presidente della Comunità Montana del Matese, Fabrizio Pepe, nell’introdurre i lavori, laconicamente parlando dei pregi del territorio che Zinzi o non Zinzi sono comunque insiti in questa area, ha affermato: “Dispiace che il presidente dell’Amministrazione Provinciale non sia intervenuto, perché avrebbe avuto modo di rendersi conto che qui il territorio ‘pulsa’ è vivo e vegeto”. Sandro De Franciscis “l’Esule di Tuoro” come ebbe a definirlo Gianluigi Guarino in uno dei tanti suoi articoli elucubrati e mirati, almeno il trenino azzurro qualche volta l’aveva preso per venire a Piedimonte Matese. Questo invece in tre mesi, il Matese lo sta trattando un po’ come Rocky Balboa trattava Ivan Drago, cioè lo sta facendo mollo mollo! Ha trasferito, anzi è più giusto dire che lo ha fatto il suo braccio armato Picaro, tutto il Comando di Polizia Provinciale da Piedimonte a Caserta. I vivai della regione invece, quasi arbitrariamente Caldoro li ha chiusi e il primo interlocutore della regione, cioè proprio la provincia, nemmeno si è sognata di intervenire. Giustamente però non si può pretendere tanto da un presidente di Provincia part –time, atteso che domani martedì parte per Roma, visto il suo doppio incarico Presidente –Parlamentare, e quindi non sa nemmeno cosa sono i vivai e cos’è il parapendio a San Potito Sannitico. E allora che fare? Attendere ancora cinque anni, Brancaccio permettendo, perché se fosse per Stellato Zinzi già avrebbe il posto confermato anche per il prossimo quinquennio 2015 -2020 e sperare intanto che qualche figura che voglia fare il presidente “per la Provincia” e non “della Provincia” venga fuori…