23 luglio 2012

Un evento strabiliante di oltre un secolo fa.

In occasione dell'inaugurazione (il 23 maggio 1908) dell'impianto elettrico di illuminazione pubblica a Cerreto Sannita (BN), Pietro Paolo FUSCO scrisse l'"Ode alla luce elettrica". Pietro Paolo Fusco era un giovane medico, dinamico,  brillante giornalista e poeta dalla vena facile. Nacque nel 1880 a Pontelandolfo (BN), ma risiedé a San Lorenzello (BN) e sposò una cerretese. Egli volle così esprimere il suo sentimento poetico per qualcosa di strabiliante che incantò tutti: l'avvento della "luce elettrica". L'impianto elettrico a Cerreto Sannita fu realizzato su progetto del famoso  Alfonso Sellaroli da Guardia Sanframondi (paese confinante con Cerreto S.), conosciuto non soltanto come “mago degli orologi”,  soprattutto da torre, ma anche come costruttore di  ”sismografi”,, ”telefoni” ed ”impianti elettrici” di ogni genere.

Testo dialettale della famosa "Ode alla luce elettrica".

Testo italiano corrispondente a quello dialettale
  Com’è bégl’ C'rrit’ agliumèt’
cu la glièttrica mezza a la via,
pære addò agg’ fatt’ i suldèt’
e chiù bégl’ d' Napugl’ sarrìa
`nnanz’ cæs’, Madonna, che abbàgl’ !
Uah! Che abbàgl’, frató p’ Gesuèl’ !
Hann’ miss’ nu cuæs’cavàgl’
ca fa luce p’ cént’ cannél’.
E p’ tutt’ è gliu stéss’ splennór’
da p’ tutt’ t’ pó cunzulà
Dall’Addàlia a gliu cuæp’ da for’
verament’ se po' passià.
I agg’ ditt’ a muglièrma Carmèna,
d’associàrm’ all'illuminazión’,
e m'ha ditt’ ca è megl’ a cannél’
p’ parìcchi’ e divers’ ragión’;
ca, i che saccie, dentr’ a l'ogl’ s'ammolla
i capigl’ e s’allécc’ le dét’,
e si manca, s’arrost’ a braciòl’
`ncopp’ a ciamm’ d’ glium’ de crét’..
Patratè! Ch’ ragión’ so cchéss’
d’ muglièrma? Ch’ pozz’ arraggià!
Song n'om’ d’ scienz’ e prugrèss’,
teng’ i puézz’, e ma ogl’ accattà.
Come è bello Cerreto illuminato
con la luce elettrica lungo le strade,
Mi sembra (di stare) dove ho fatto il soldato
e più bello di Napoli appare
Davanti casa, Madonna, che abbaglio!
Oh! Che abbaglio, “fratello, per Giosuè"
hanno installato (un lampione che ha la forma di) un caciocavallo
che fa la luce di cento candele.
Dappertutto è lo stesso splendore,
dappertutto ti puoi consolare
Da casa Dalio (estremità inferiore del centro abitato) al "capo di fuori" (°)
veramente si può passeggiare.
Ho detto a mia moglie Carmela,
di voler diventare socio per avere l'illuminazione (in casa),
e mi ha detto che va meglio la candela
per parecchie e diverse ragioni;
che so, nell'olio si bagna
i capelli e si lecca le dita,
oppure si arrostisce la braciola
sulla fiamma di lume di creta...
Oh Padreterno! Che ragioni son queste
di mia moglie?  Ch’ella possa prendere la rabbia!
Sono un uomo di scienza e progresso,
ho i soldi, e me la voglio comprare (la luce elettrica).

(°) - cuæp’ da for’, ossia la “testa di fuori” (sporgente). Si tratta del nome di una località alla periferia Nord/Est del centro abitato di Cerreto Sannita, così denominata perché, terminando in quel luogo il centro abitato, è possibile osservare la campagna cerretese sporgendo semplicemente la testa oltre l’ultimo fabbricato.
Ecco chi era Pietro Paolo FUSCO l’autore dell’ode alla luce elettrica (Com’è bégl’ C'rrit’ agliumèt’, …….).
Il poeta fanciullo Pietro Paolo FUSCO nacque il 16 marzo 1880 a Pontelandolfo (BN), ma risiedé a San Lorenzello (BN). Compiuti i primi studi nel "Seminario diocesiano" di Cerreto Sannita (BN), Pietro Paolo FUSCO continuò il corso liceale presso il liceo classico "Giannone" di Benevento. Nel luglio 1905 si laureò in Medicina nell’Università di Napoli, discutendo una tesi che fece epoca: Psicologia della morte o le ultime sensazioni della vita”.  Dopo essersi specializzato in ostetricia, bromatologia, medicina navale e coloniale ed aver frequentato, a Parigi, i corsi di Charcot, iniziò la sua attività medica nelle sua zona. Ma era uomo di ingegno vivace e di natura irrequieta. Oltretutto aveva attinto alle sorgenti familiari un’ansia di giustizia sociale, priva di ogni forma demagogica. Divenne, perciò, subito il medico dei poveri, in favore dei quali aprì, insieme al compianto dott. Umberto Franco, un dispensario medico – chirurgico. Alternando il lavoro con lo studio, iniziò una serie di pubblicazioni riguardanti malattie sociali. Trovò perfino il tempo di redigere “L’eco del Sannio, un periodico che aveva come scopo “l’incremento del commercio, dell’industria e dell’agricoltura nel Sannio e nelle regioni limitrofe”, che vide la luce il 12 ottobre 1907. In realtà il foglio, che tra l’altro reclamizzava i migliori prodotti dell’industria sannita, in particolare di quella cerretese e laurentina, aveva l’occhio fisso alla politica di Cerreto e del Sannio. Quand’era giovanottino (a 15 anni), tutto attillato, con orologio in tasca e bastoncino, aveva già fatto esperienza di questo genere, con la pubblicazione del foglio L’Ira di dio”, improvvisandosi anche strillone, coprendo il fragore degli ottoni e dominando i colpi di grancassa della banda musicale nella vigilia di San Lorenzo del 1895. Il poeta fanciullo, dalla vena facile, era cresciuto e, con gli anni, era maturata anche la satira politica. Che, però, fu sempre bonaria e soprattutto originata dal desiderio di bene, perciò anche gli uomini politici presi di mira gli sorrisero e talvolta lo ringraziarono. Fu proprio l’irrequietezza a farlo trasferire in Libia come assistente presso l’Ospedale Civile Vittorio Emanuele III di Tripoli. L’ingegno svegliato che aveva sortito dalla natura e quella calda irrequietezza spirituale - affermava il fratello Enrico Maria - fu tutto il suo temperamento, più che carattere, perché in lui l’agilità del pensiero era così naturata alla persona fisica che, al balenio di quello sempre corrispondeva lo scatto agile del corpo. Tornò nel 1916 per indossare la divisa militare. Tenente, poi capitano medico, fu all’Asiago e alla Bainsizza. Un treno lo investiva tragicamente a Santa Maria Capua Vetere (Caserta), il 24 gennaio 1918 (aveva 38 anni): lasciava la moglie Bianca, dolce figura di signora appartenente alla famiglia Mazzacane di Cerreto S., e la figlia Licia Adriana Trieste, nata a Tripoli il 23 maggio 1915. San Lorenzello intitolò all’illustre figlio Pietro Paolo FUSCO un’aula scolastica, nell’edificio dell’ex convento carmelitano, e successivamente una strada. 
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Le notizie sull’autore della famosa poesia dialettale, sono state tratte dal libro“SAN LORENZELLO E LA VALLE DEL TITERNO” di don Nicola Vigliotti, sacerdote e professore molto conosciuto di latino e greco.
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                                    Perché fu scritta lOde alla luce elettrica
La “luce elettrica” costituì un evento strabiliante che incantò tutti, e non solo a Cerreto Sannita nel 1908. Essa venne utilizzata prima per l’illuminazione pubblica (delle strade) e poi, gradualmente, nelle case.

Dai tempi remoti l’evoluzione dell’illuminazione aveva fatto registrare solo risultati di scarsa importanza:
- dalla “lucerna” alla “torcia antica” 
- alla “lampada ad olio”, 
- alla "lampada ad acetilene  (carburo di calcio)",
- al “lume a petrolio”.
 alla  “candela”.
Le lampade ad olio erano molto diffuse nel mondo antico, ne sono state ritrovate anche in Egitto, Grecia e a Roma.   Erano recipienti aperti di pietra, argilla, osso o conchiglia nelle quali venivano utilizzati grassi animali e vegetali come combustibile. La lampada a carburo o ad acetilene  fu inventata intorno al 1900 e costituì un'innovazione importante poiché forniva molta più luce delle lampade a petrolio o delle lucerne. In passato ne sono state prodotte versioni adatte all'uso domestico. La lampada utilizza come combustibile l'acetilene, un gas più leggero dell'aria prodotto dalla reazione chimica generata dal contatto dell'acqua con il carburo di calcio.   La lampada ad acetilene è composta da due contenitori sovrapposti: in quello inferiore è contenuto il carburo di calcio, in quello superiore l'acqua. L'acqua, attraverso un foro (regolato da una vite), precipita a gocce sul carburo innescando la reazione chimica che genera l'acetilene; quest'ultimo, attraverso un condotto che attraversa il contenitore dell'acqua, viene indirizzato verso un beccuccio posto sulla parte superiore della lampada, da cui fuoriesce e dove può essere incendiato con un fiammifero o un apparato piezoelettrico. I due contenitori, quello del carburo e quello dell'acqua, sono accorpati con un attacco a baionetta o a vite. Il tutto a rassomigliare una caffettiera. Sulla parte superiore del contenitore dell'acqua sono presenti, oltre al beccuccio di fuoriuscita dell'acetilene, anche la valvola per il carico dell'acqua e la vite di regolazione del flusso di caduta dell'acqua. Dalle parole degli anziani, anche a distanza di tanto tempo, traspare ancora oggi la grandissima emozione che essi (o i loro genitori) provarono con l’avvento della “luce elettrica” in sostituzione dei modesti strumenti di illuminazione che venivano utilizzati.  Con l’inaugurazione della “luce elettrica” nel 1908 a Cerreto Sannita, un giovane e dinamico medico di 28 anni, Pietro Paolo Fusco, erudito e di ingegno vivace, con la passione per il giornalismo e poeta dalla vena facile, rimase anch’egli affascinato e volle elogiare la “luce elettrica” con un’ode, ancora oggi, a distanza di oltre 100 anni, assai famosa. Il primo verso:”Com’è bégl’ C'rrit’ agliumèt’”  viene ancora ripetuto con una certa frequenza tra amici e conoscenti, anche occasionalmente e in svariate circostanze.  Quei pochi che commettono l’errore di dire ”Quant’è bégl’ ……..”, vengono quasi sempre subito corretti con la giusta dicitura: ”Com’è bégl’ …….”.

Ma se Pietro Paolo Fusco, con la sua vena poetica, ci consente ancora oggi di ricordare l’avvento della luce elettrica a Cerreto Sannita, non bisogna ignorare che l’impianto di illuminazione pubblica in questo comune fu realizzato su progetto del famoso Alfonso Sellaroli (1855 – 1940) da Guardia Sanframondi, conosciuto non soltanto come “mago degli orologi” (soprattutto da torre), ma anche come costruttore di ”sismografi”, ”telefoni” ed ”impianti elettrici” di ogni genere. Sellaroli andò ad installare i suoi orologi da torre (soprattutto sui campanili delle chiese) un po’ ovunque. Ovviamente ne installò molti nella nostra regione e in quelle limitrofe, ma andò anche all’estero, e persino in Terra Santa. Pare che il guardiese Sellaroli avesse già messo a punto, su incarico dell'amministrazione comunale di Guardia Sanframondi, un progetto di pubblica illuminazione per il centro abitato del suo paese, ma poi, essendo stato abbandonato almeno temporaneamente tale progetto a Guardia,  Sellaroli  lo adattò e lo cedette al limitrofo comune di Cerreto Sannita su richiesta dell'amministrazione comunale cerretese. Sul personaggio Alfonso Sellaroli e sulla sua opera è stato scritto un libro molto interessante pubblicato nel mese di luglio 2002 (con due foto di Sellaroli provenienti dall’archivio privato di Eligio Garofano), dal titolo NEL RICORDO DEI RINTOCCHI”, edito dalla Comunità Montana del Titerno – Autore: Enrico Garofano. Più o meno in quello stesso periodo anche Cusano Mutri (BN), comune confinante con Cerreto Sannita in direzione Nord-Ovest, ebbe la luce elettrica.

Giovan Giusepe Valente, classe 1931, residente a Cusano Mutri in Via Calvario, ci ha raccontato a riguardo un suo prezioso ricordo: la sua nonna paterna gli diceva spesso che nel 1904, quando lei comprò nei pressi del municipio la casa in cui egli abita tuttora, c’era già la luce elettrica. Probabilmente erano ancora poche allora a Cusano Mutri le case (nei dintorni del municipio) dotate di luce elettrica, che veniva prodotta da una turbina azionata da un motore a scoppio. Nelle case del centro abitato di Cusano Mutri la luce elettrica comunque si diffuse subito dopo la Prima Guerra Mondiale.

Pietraroja,  comune confinante con Cusano Mutri e con Cerreto Sannita, in direzione nord da quest'ultimo, per interessamento soprattutto del famoso arciprete don Lorenzo De Carlo (1884 – 1967), ebbe la luce elettrica nel 1937, con una turbina azionata dall’acqua che, sfruttando un notevole dislivello, scendeva a forte pressione verso la turbina in una conduttura appositamente costruita.
“E’ un passo avanti alla candela, alla lampada ad olio, al lume a petrolio, usava dire don Lorenzo De Carlo. Sulla facciata della chiesa dell’Assunta a Pietraroja (alla sinistra di chi si trova, dall’antistante Piazza San Nicola, ad osservare la facciata della chiesa in corrispondenza della porta centrale di quest’ultima), quasi vicino allo spigolo, don Lorenzo De Carlo fece affiggere, ben visibile, una grossa lastra di marmo con la scritta che segue, contenente anche la data di inaugurazione della pubblica illuminazione a Pietraroja:


I POSTERI RICORDINO

IL XXVI GENNAIO MCMXXXII

IL PRINCIPE UMBERTO DI SAVOIA

PORTAVA TRA I NOSTRI MONTI

IL SUO REGAL SORRISO

ADORANDO GENUFLESSO

IN QUESTO TEMPIO

IL XXVI GENNAIO MCMXXXVII

PIETRAROJA FESTANTE

ILLUMINAVA LE VIE E LE CASE

ELETTRICAMENTE

DEDICANDO LA LUCE

AUSPICIO DI GLORIE PIÙ FULGIDE

AL PONTEFICE IMMORTALE

PIO XI

AL RE IMPERATORE

AL DUCE FONDATORE DELL’IMPERO

____________________________


ARCIPRETE LORENZO DE CARLO

POSE

ANNO MCMXXXVII – XV – II - IMPERO

Ho realizzato questo scritto (molto più sinteticamente) alcuni anni fa, non solo nel tentativo di consentire ai miei alunni dell’Istituto Tecnico Statale “MARZIO CARAFA” di Cerreto Sannita (BN) di apprezzare meglio una famosa poesia dialettale cerretese, ma anche di “curiosare” su un importante avvenimento di circa un secolo fa. 
Lo scritto, però, potrebbe interessare anche altre persone, di qualsiasi età, ceto sociale e cultura; e serve pure a ricordare: 
- che l'avvento della luce elettrica è un fatto praticamente recente nella storia plurimillenaria dell'umanità;
- che la luce elettrica ha segnato una straordinaria svolta epocale nelle condizioni di vita dell'uomo ed ha costituito la premessa per uno sviluppo economico e sociale strepitosi, prima inimmaginabili.

                                                Emidio Civitillo