CAPUA. Venerdì 8 giugno 2012 presso il Salone Capecelatro ex Seminario
Diocesano di Capua è stato presentato il libro “I più antichi documenti di S.
Maria la Fossa
– Greci ed Ebrei (XII – XVI sec.). All’inaugurazione del libro erano presenti
S.E. il vescovo Bruno Schettino, il Sindaco del Comune di Santa Maria La Fossa, Dr. Antonio Papa e
l’addetto stampa comunale, Avv. Antonio Gaudiano, oltre ad un pubblico molto
folto e numerosi giornalisti. L’opera è stata redatta dal professore
Giancarlo Bova, storico di fama mondiale, che si occupa della civiltà di Terra di Lavoro tra
Antichità e Medioevo. Le pergamene relative a S. Maria la Fossa, presentate in questo
volume, sono in tutto sessantasette, di cui due precetti di Giordano II (uno è
in transunto), un mandato di Giovanna II, una concessione dell’arcivescovo
Stefano (in notizia), una procura dell’abate Taddeo (in transunto). Gli altri
documenti sono tutti di natura privata: vendite, concessioni, conferme,
permute, donazioni pro anima, testamenti e contratti di divisione. L’arco di
tempo indagato è molto ampio ed è compreso tra il 1121 e il 1516. Attraverso lo
studio degli atti giuridici è possibile vedere molto bene l’evoluzione del centro
medievale, denominato dapprima locus S. Marie que dicitur alla Fossa, chiamato
poi villa S. Marie ad Fossam pertinenciarum Capue. Si tratta di un villaggio
lungo il fiume Volturno, dove i mercanti provenienti da Castelvolturno si
fermavano con le loro imbarcazioni nel porto Femirarum o Mulierum per vendere
le loro merci, all’ombra della chiesa dedicata alla Vergine Assunta (X – XIII
sec.), che rappresentava un asilo di pace per quegli uomini affaticati e per
tutti gli abitanti. Attraverso questo libro il professor Bova restituisce al
culto dei fedeli di S. Maria la
Fossa il meraviglioso affresco della Madonna del Rosario tra
i Santi Filippo e Giacomo (XIII sec.) la cui devozione ha visto affollare per
otto secoli la stupenda chiesa parrocchiale di Maria SS. Assunta in Cielo (X –
XIII sec.). L’Autore presenta in maniera così viva la complessa documentazione
relativa al centro, che al lettore sembra quasi di essere presente alle aste
pubbliche del tempo e di trovarsi al cospetto ell’arcivescovo Stefano o della
badessa Galgana o anche dei giudici riuniti in platea indicum a Capua, mentre
concedevano le terre agli abitanti della località, tra cui si ricorda una terra
del giudice Pietro de Vinea. Interessanti le notizie sui servizi personali che
i fittavoli di alcune terre dovevano prestare alla badessa del monastero di S.
Giovanni delle Monache. Altrettanto importanti i riferimenti circa la presenza
di numerosi greci nella zona, oltre a quella degli ebrei, tra cui vengono
ricordati i fratelli Filippo e Pietro cognomine Medici, figli del fu Pietro
eiusdem cognominis, abitanti a Capua (1196), i quali risultano concessionari di
una villa rustica a S. Maria la
Fossa e sono citati anche come Pietro cognomine Ebreus,
fratello dell’arciprete Filippo Medico. L’Autore, che per primo ha studiato i
formulari e i sigma dei notai e giudici capuani, identifica il signum del
notaio Petrus Medicus, che potrebbero essere degli avi di Lorenzo il Magnifico
di Firenze, ma questo è ancora in fase di accertamento. Certa
la presenza nel territorio della famiglia Cavalcanti di Firenze e non manca la
notizia di un’incursione di Ungheri (1349). Ai primi del ‘500 abitava nei
paraggi anche un fratello di Ludovico de Abenavolo, l’eroe della disfida di
Barletta. Sessantasette
pergamene, dunque, per restituire una storia a S. Maria la Fossa, per conoscere usi,
costumi, abitudini e vita di una popolazione, che con rispetto e ammirazione si
preannuncia molto laboriosa. Pare che la dicitura ‘fossa’ sia un chiaro
riferimento al fatto che il paesino fosse situato nei pressi del fiume Volturno
e che il termine indichi il canale di smaltimento dell’acqua nelle terre
paludose. E’ proprio grazie al corso fluviale il borgo medievale ha acquisito
un’impronta commerciale, dato che la navigazione del corso d’acqua permetteva
di trasportare facilmente merci da commerciare. Merci che venivano poi
dislocate presso la località ‘Porto delle Femmine’, un punto di attracco,
esistente ancora oggi, dove si recavano le donne per acquistare i prodotti e
prelevare l’acqua del fiume. Ma le attività dei fossatari non si fermavano solo
al commercio e alla pesca, ma riguardano anche altri settori come la caccia e
l’allevamento di animali da cortile e di suini, ciò è testimoniato dalla
presenza nella chiesa di “Maria SS. Assunta in Cielo” di un affresco che
raffigura Sant’Antonio Abate, protettore degli animali. Sicuramente era anche
praticato l’allevamento della bufala, che ancora oggi rappresenta
un’importantissima risorsa per l’economia locale. Un bellissimo ed illuminante
volume, quindi, fortemente voluto dal primo cittadino, Dottor Antonio Papa, che
ha deciso e scelto di investire sulla cultura, infatti egli dice: “investire
nella cultura è necessario, tenere memoria del nostro passato è
indispensabile”.
Tilde Maisto