02 gennaio 2009

MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI PER LA CELEBRAZIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 1° GENNAIO 2009.



MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI PER LA CELEBRAZIONE DELLA
GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 1° GENNAIO 2009
COMBATTERE LA POVERTÀ, COSTRUIRE LA PACE
1. Anche all'inizio di questo nuovo anno desidero far giungere a tutti il mio augurio di pace ed
invitare, con questo mio Messaggio, a riflettere sul tema: Combattere la povertà, costruire la pace.
Già il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della
Pace del 1993, aveva sottolineato le ripercussioni negative che la situazione di povertà di intere
popolazioni finisce per avere sulla pace. Di fatto, la povertà risulta sovente tra i fattori che
favoriscono o aggravano i conflitti, anche armati. A loro volta, questi ultimi alimentano tragiche
situazioni di povertà. « S'afferma... e diventa sempre più grave nel mondo – scriveva Giovanni
Paolo II – un'altra seria minaccia per la pace: molte persone, anzi, intere popolazioni vivono oggi in
condizioni di estrema povertà. La disparità tra ricchi e poveri s'è fatta più evidente, anche nelle
nazioni economicamente più sviluppate. Si tratta di un problema che s'impone alla coscienza
dell'umanità, giacché le condizioni in cui versa un gran numero di persone sono tali da offenderne la
nativa dignità e da compromettere, conseguentemente, l'autentico ed armonico progresso della
comunità mondiale »1.
2. In questo contesto, combattere la povertà implica un'attenta considerazione del complesso
fenomeno della globalizzazione. Tale considerazione è importante già dal punto di vista
metodologico, perché suggerisce di utilizzare il frutto delle ricerche condotte dagli economisti e
sociologi su tanti aspetti della povertà. Il richiamo alla globalizzazione dovrebbe, però, rivestire
anche un significato spirituale e morale, sollecitando a guardare ai poveri nella consapevole
prospettiva di essere tutti partecipi di un unico progetto divino, quello della vocazione a costituire
un'unica famiglia in cui tutti – individui, popoli e nazioni – regolino i loro comportamenti
improntandoli ai principi di fraternità e di responsabilità.
In tale prospettiva occorre avere, della povertà, una visione ampia ed articolata. Se la povertà fosse
solo materiale, le scienze sociali che ci aiutano a misurare i fenomeni sulla base di dati di tipo
soprattutto quantitativo, sarebbero sufficienti ad illuminarne le principali caratteristiche. Sappiamo,
però, che esistono povertà immateriali, che non sono diretta e automatica conseguenza di carenze
materiali. Ad esempio, nelle società ricche e progredite esistono fenomeni di emarginazione,
povertà relazionale, morale e spirituale: si tratta di persone interiormente disorientate, che vivono
diverse forme di disagio nonostante il benessere economico. Penso, da una parte, a quello che viene
chiamato il « sottosviluppo morale »2 e, dall'altra, alle conseguenze negative del « supersviluppo »3.
Non dimentico poi che, nelle società cosiddette « povere », la crescita economica è spesso frenata
da impedimenti culturali, che non consentono un adeguato utilizzo delle risorse. Resta comunque
vero che ogni forma di povertà imposta ha alla propria radice il mancato rispetto della trascendente
dignità della persona umana. Quando l'uomo non viene considerato nell'integralità della sua
vocazione e non si rispettano le esigenze di una vera « ecologia umana »4, si scatenano anche le
dinamiche perverse della povertà, com'è evidente in alcuni ambiti sui quali soffermerò brevemente
la mia attenzione.
1 Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1993, 1.
2 Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 19.
3 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 28
4 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 38.
Povertà e implicazioni morali
3. La povertà viene spesso correlata, come a propria causa, allo sviluppo demografico. In
conseguenza di ciò, sono in atto campagne di riduzione delle nascite, condotte a livello
internazionale, anche con metodi non rispettosi né della dignità della donna né del diritto dei
coniugi a scegliere responsabilmente il numero dei figli5 e spesso, cosa anche più grave, non
rispettosi neppure del diritto alla vita. Lo sterminio di milioni di bambini non nati, in nome della
lotta alla povertà, costituisce in realtà l'eliminazione dei più poveri tra gli esseri umani. A fronte di
ciò resta il fatto che, nel 1981, circa il 40% della popolazione mondiale era al di sotto della linea di
povertà assoluta, mentre oggi tale percentuale è sostanzialmente dimezzata, e sono uscite dalla
povertà popolazioni caratterizzate, peraltro, da un notevole incremento demografico. Il dato ora
rilevato pone in evidenza che le risorse per risolvere il problema della povertà ci sarebbero, anche in
presenza di una crescita della popolazione. Né va dimenticato che, dalla fine della seconda guerra
mondiale ad oggi, la popolazione sulla terra è cresciuta di quattro miliardi e, in larga misura, tale
fenomeno riguarda Paesi che di recente si sono affacciati sulla scena internazionale come nuove
potenze economiche e hanno conosciuto un rapido sviluppo proprio grazie all'elevato numero dei
loro abitanti. Inoltre, tra le Nazioni maggiormente sviluppate quelle con gli indici di natalità
maggiori godono di migliori potenzialità di sviluppo. In altri termini, la popolazione sta
confermandosi come una ricchezza e non come un fattore di povertà.
4. Un altro ambito di preoccupazione sono le malattie pandemiche quali, ad esempio, la malaria, la
tubercolosi e l'AIDS, che, nella misura in cui colpiscono i settori produttivi della popolazione,
influiscono grandemente sul peggioramento delle condizioni generali del Paese. I tentativi di
frenare le conseguenze di queste malattie sulla popolazione non sempre raggiungono risultati
significativi. Capita, inoltre, che i Paesi vittime di alcune di tali pandemie, per farvi fronte, debbano
subire i ricatti di chi condiziona gli aiuti economici all'attuazione di politiche contrarie alla vita. È
soprattutto difficile combattere l'AIDS, drammatica causa di povertà, se non si affrontano le
problematiche morali con cui la diffusione del virus è collegata. Occorre innanzitutto farsi carico di
campagne che educhino specialmente i giovani a una sessualità pienamente rispondente alla dignità
della persona; iniziative poste in atto in tal senso hanno gia dato frutti significativi, facendo
diminuire la diffusione dell'AIDS. Occorre poi mettere a disposizione anche dei popoli poveri le
medicine e le cure necessarie; ciò suppone una decisa promozione della ricerca medica e delle
innovazioni terapeutiche nonché, quando sia necessario, un'applicazione flessibile delle regole
internazionali di protezione della proprietà intellettuale, così da garantire a tutti le cure sanitarie di
base.
5. Un terzo ambito, oggetto di attenzione nei programmi di lotta alla povertà e che ne mostra
l'intrinseca dimensione morale, è la povertà dei bambini. Quando la povertà colpisce una famiglia, i
bambini ne risultano le vittime più vulnerabili: quasi la metà di coloro che vivono in povertà
assoluta oggi è rappresentata da bambini. Considerare la povertà ponendosi dalla parte dei bambini
induce a ritenere prioritari quegli obiettivi che li interessano più direttamente come, ad esempio, la
cura delle madri, l'impegno educativo, l'accesso ai vaccini, alle cure mediche e all'acqua potabile, la
salvaguardia dell'ambiente e, soprattutto, l'impegno a difesa della famiglia e della stabilità delle
relazioni al suo interno. Quando la famiglia si indebolisce i danni ricadono inevitabilmente sui
bambini. Ove non è tutelata la dignità della donna e della mamma, a risentirne sono ancora
principalmente i figli.
6. Un quarto ambito che, dal punto di vista morale, merita particolare attenzione è la relazione
esistente tra disarmo e sviluppo. Suscita preoccupazione l'attuale livello globale di spesa militare.
5 Cfr Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 37; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 25.
Come ho già avuto modo di sottolineare, capita che « le ingenti risorse materiali e umane impiegate
per le spese militari e per gli armamenti vengono di fatto distolte dai progetti di sviluppo dei popoli,
specialmente di quelli più poveri e bisognosi di aiuto. E questo va contro quanto afferma la stessa
Carta delle Nazioni Unite, che impegna la comunità internazionale, e gli Stati in particolare, a
“promuovere lo stabilimento ed il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale col
minimo dispendio delle risorse umane ed economiche mondiali per gli armamenti” (art. 26) »6.
Questo stato di cose non facilita, anzi ostacola seriamente il raggiungimento dei grandi obiettivi di
sviluppo della comunità internazionale. Inoltre, un eccessivo accrescimento della spesa militare
rischia di accelerare una corsa agli armamenti che provoca sacche di sottosviluppo e di
disperazione, trasformandosi così paradossalmente in fattore di instabilità, di tensione e di conflitti.
Come ha sapientemente affermato il mio venerato Predecessore Paolo VI, « lo sviluppo è il nuovo
nome della pace »7. Gli Stati sono pertanto chiamati ad una seria riflessione sulle più profonde
ragioni dei conflitti, spesso accesi dall'ingiustizia, e a provvedervi con una coraggiosa autocritica.
Se si giungerà ad un miglioramento dei rapporti, ciò dovrebbe consentire una riduzione delle spese
per gli armamenti. Le risorse risparmiate potranno essere destinate a progetti di sviluppo delle
persone e dei popoli più poveri e bisognosi: l'impegno profuso in tal senso è un impegno per la pace
all'interno della famiglia umana.
7. Un quinto ambito relativo alla lotta alla povertà materiale riguarda l'attuale crisi alimentare, che
mette a repentaglio il soddisfacimento dei bisogni di base. Tale crisi è caratterizzata non tanto da
insufficienza di cibo, quanto da difficoltà di accesso ad esso e da fenomeni speculativi e quindi da
carenza di un assetto di istituzioni politiche ed economiche in grado di fronteggiare le necessità e le
emergenze. La malnutrizione può anche provocare gravi danni psicofisici alle popolazioni, privando
molte persone delle energie necessarie per uscire, senza speciali aiuti, dalla loro situazione di
povertà. E questo contribuisce ad allargare la forbice delle disuguaglianze, provocando reazioni che
rischiano di diventare violente. I dati sull'andamento della povertà relativa negli ultimi decenni
indicano tutti un aumento del divario tra ricchi e poveri. Cause principali di tale fenomeno sono
senza dubbio, da una parte, il cambiamento tecnologico, i cui benefici si concentrano nella fascia
più alta della distribuzione del reddito e, dall'altra, la dinamica dei prezzi dei prodotti industriali,
che crescono molto più velocemente dei prezzi dei prodotti agricoli e delle materie prime in
possesso dei Paesi più poveri. Capita così che la maggior parte della popolazione dei Paesi più
poveri soffra di una doppia marginalizzazione, in termini sia di redditi più bassi sia di prezzi più
alti.
Lotta alla povertà e solidarietà globale
8. Una delle strade maestre per costruire la pace è una globalizzazione finalizzata agli interessi della
grande famiglia umana8. Per governare la globalizzazione occorre però una forte solidarietà
globale9 tra Paesi ricchi e Paesi poveri, nonché all'interno dei singoli Paesi, anche se ricchi. È
necessario un « codice etico comune »10, le cui norme non abbiano solo un carattere convenzionale,
ma siano radicate nella legge naturale inscritta dal Creatore nella coscienza di ogni essere umano
(cfr Rm 2,14-15). Non avverte forse ciascuno di noi nell'intimo della coscienza l'appello a recare il
6 Benedetto XVI, Lettera al Cardinale Renato Raffaele Martino in occasione del Seminario internazionale organizzato
dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace sul tema « Disarmo, sviluppo e pace. Prospettive per un disarmo
integrale », 10 aprile 2008: L'Osservatore Romano, 13.4.2008, p. 8.
7 Lett. enc. Populorum progressio, 87.
8 Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 58.
9 Cfr Giovanni Paolo II, Discorso all'Udienza alle Acli, 27 aprile 2002, 4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXV, 1
[2002], 637.
10 Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, 27 aprile 2001,
4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXIV, 1 [2001], 802.
proprio contributo al bene comune e alla pace sociale? La globalizzazione elimina certe barriere, ma
ciò non significa che non ne possa costruire di nuove; avvicina i popoli, ma la vicinanza spaziale e
temporale non crea di per sé le condizioni per una vera comunione e un'autentica pace. La
marginalizzazione dei poveri del pianeta può trovare validi strumenti di riscatto nella
globalizzazione solo se ogni uomo si sentirà personalmente ferito dalle ingiustizie esistenti nel
mondo e dalle violazioni dei diritti umani ad esse connesse. La Chiesa, che è « segno e strumento
dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano »,11 continuerà ad offrire il suo
contributo affinché siano superate le ingiustizie e le incomprensioni e si giunga a costruire un
mondo più pacifico e solidale.
9. Nel campo del commercio internazionale e delle transazioni finanziarie, sono oggi in atto
processi che permettono di integrare positivamente le economie, contribuendo al miglioramento
delle condizioni generali; ma ci sono anche processi di senso opposto, che dividono e
marginalizzano i popoli, creando pericolose premesse per guerre e conflitti. Nei decenni successivi
alla seconda guerra mondiale, il commercio internazionale di beni e di servizi è cresciuto in modo
straordinariamente rapido, con un dinamismo senza precedenti nella storia. Gran parte del
commercio mondiale ha interessato i Paesi di antica industrializzazione, con la significativa
aggiunta di molti Paesi emergenti, diventati rilevanti. Ci sono però altri Paesi a basso reddito, che
risultano ancora gravemente marginalizzati rispetto ai flussi commerciali. La loro crescita ha
risentito negativamente del rapido declino, registrato negli ultimi decenni, dei prezzi dei prodotti
primari, che costituiscono la quasi totalità delle loro esportazioni. In questi Paesi, per la gran parte
africani, la dipendenza dalle esportazioni di prodotti primari continua a costituire un potente fattore
di rischio. Vorrei qui rinnovare un appello perché tutti i Paesi abbiano le stesse possibilità di
accesso al mercato mondiale, evitando esclusioni e marginalizzazioni.
10. Una riflessione simile può essere fatta per la finanza, che concerne uno degli aspetti primari del
fenomeno della globalizzazione, grazie allo sviluppo dell'elettronica e alle politiche di
liberalizzazione dei flussi di denaro tra i diversi Paesi. La funzione oggettivamente più importante
della finanza, quella cioè di sostenere nel lungo termine la possibilità di investimenti e quindi di
sviluppo, si dimostra oggi quanto mai fragile: essa subisce i contraccolpi negativi di un sistema di
scambi finanziari – a livello nazionale e globale - basati su una logica di brevissimo termine, che
persegue l'incremento del valore delle attività finanziarie e si concentra nella gestione tecnica delle
diverse forme di rischio. Anche la recente crisi dimostra come l'attività finanziaria sia a volte
guidata da logiche puramente autoreferenziali e prive della considerazione, a lungo termine, del
bene comune. L'appiattimento degli obiettivi degli operatori finanziari globali sul brevissimo
termine riduce la capacità della finanza di svolgere la sua funzione di ponte tra il presente e il
futuro, a sostegno della creazione di nuove opportunità di produzione e di lavoro nel lungo periodo.
Una finanza appiattita sul breve e brevissimo termine diviene pericolosa per tutti, anche per chi
riesce a beneficiarne durante le fasi di euforia finanziaria12.
11. Da tutto ciò emerge che la lotta alla povertà richiede una cooperazione sia sul piano economico
che su quello giuridico che permetta alla comunità internazionale e in particolare ai Paesi poveri di
individuare ed attuare soluzioni coordinate per affrontare i suddetti problemi realizzando un efficace
quadro giuridico per l'economia. Richiede inoltre incentivi alla creazione di istituzioni efficienti e
partecipate, come pure sostegni per lottare contro la criminalità e per promuovere una cultura della
legalità. D'altra parte, non si può negare che le politiche marcatamente assistenzialiste siano
all'origine di molti fallimenti nell'aiuto ai Paesi poveri. Investire nella formazione delle persone e
sviluppare in modo integrato una specifica cultura dell'iniziativa sembra attualmente il vero
progetto a medio e lungo termine. Se le attività economiche hanno bisogno, per svilupparsi, di un
11 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1.
12 Cfr Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 368.
contesto favorevole, ciò non significa che l'attenzione debba essere distolta dai problemi del reddito.
Sebbene si sia opportunamente sottolineato che l'aumento del reddito pro capite non può costituire
in assoluto il fine dell'azione politico-economica, non si deve però dimenticare che esso rappresenta
uno strumento importante per raggiungere l'obiettivo della lotta alla fame e alla povertà assoluta. Da
questo punto di vista va sgomberato il campo dall'illusione che una politica di pura ridistribuzione
della ricchezza esistente possa risolvere il problema in maniera definitiva. In un'economia moderna,
infatti, il valore della ricchezza dipende in misura determinante dalla capacità di creare reddito
presente e futuro. La creazione di valore risulta perciò un vincolo ineludibile, di cui si deve tener
conto se si vuole lottare contro la povertà materiale in modo efficace e duraturo.
12. Mettere i poveri al primo posto comporta, infine, che si riservi uno spazio adeguato a una
corretta logica economica da parte degli attori del mercato internazionale, ad una corretta logica
politica da parte degli attori istituzionali e ad una corretta logica partecipativa capace di valorizzare
la società civile locale e internazionale. Gli stessi organismi internazionali riconoscono oggi la
preziosità e il vantaggio delle iniziative economiche della società civile o delle amministrazioni
locali per la promozione del riscatto e dell'inclusione nella società di quelle fasce della popolazione
che sono spesso al di sotto della soglia di povertà estrema e sono al tempo stesso difficilmente
raggiungibili dagli aiuti ufficiali. La storia dello sviluppo economico del XX secolo insegna che
buone politiche di sviluppo sono affidate alla responsabilità degli uomini e alla creazione di positive
sinergie tra mercati, società civile e Stati. In particolare, la società civile assume un ruolo cruciale in
ogni processo di sviluppo, poiché lo sviluppo è essenzialmente un fenomeno culturale e la cultura
nasce e si sviluppa nei luoghi del civile13.
13. Come ebbe ad affermare il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, la globalizzazione « si
presenta con una spiccata caratteristica di ambivalenza »14 e quindi va governata con oculata
saggezza. Rientra in questa forma di saggezza il tenere primariamente in conto le esigenze dei
poveri della terra, superando lo scandalo della sproporzione esistente tra i problemi della povertà e
le misure che gli uomini predispongono per affrontarli. La sproporzione è di ordine sia culturale e
politico che spirituale e morale. Ci si arresta infatti spesso alle cause superficiali e strumentali della
povertà, senza raggiungere quelle che albergano nel cuore umano, come l'avidità e la ristrettezza di
orizzonti. I problemi dello sviluppo, degli aiuti e della cooperazione internazionale vengono
affrontati talora senza un vero coinvolgimento delle persone, ma come questioni tecniche, che si
esauriscono nella predisposizione di strutture, nella messa a punto di accordi tariffari, nello
stanziamento di anonimi finanziamenti. La lotta alla povertà ha invece bisogno di uomini e donne
che vivano in profondità la fraternità e siano capaci di accompagnare persone, famiglie e comunità
in percorsi di autentico sviluppo umano.
Conclusione
14. Nell'Enciclica Centesimus annus, Giovanni Paolo II ammoniva circa la necessità di «
abbandonare la mentalità che considera i poveri – persone e popoli – come un fardello e come
fastidiosi importuni, che pretendono di consumare quanto altri hanno prodotto ». « I poveri – egli
scriveva - chiedono il diritto di partecipare al godimento dei beni materiali e di mettere a frutto la
loro capacità di lavoro, creando così un mondo più giusto e per tutti più prospero »15. Nell'attuale
mondo globale è sempre più evidente che si costruisce la pace solo se si assicura a tutti la possibilità
di una crescita ragionevole: le distorsioni di sistemi ingiusti, infatti, prima o poi, presentano il conto
a tutti. Solo la stoltezza può quindi indurre a costruire una casa dorata, ma con attorno il deserto o il
13 Cfr ibid., 356
14 Discorso nell'Udienza a Dirigenti di sindacati di lavoratori e di grandi società, 2 maggio 2000, 3: Insegnamenti di
Giovanni Paolo II, XXIII, 1 [2000], 726
15 N. 28.
degrado. La globalizzazione da sola è incapace di costruire la pace e, in molti casi, anzi, crea
divisioni e conflitti. Essa rivela piuttosto un bisogno: quello di essere orientata verso un obiettivo di
profonda solidarietà che miri al bene di ognuno e di tutti. In questo senso, la globalizzazione va
vista come un'occasione propizia per realizzare qualcosa di importante nella lotta alla povertà e per
mettere a disposizione della giustizia e della pace risorse finora impensabili.
15. Da sempre la dottrina sociale della Chiesa si è interessata dei poveri. Ai tempi dell'Enciclica
Rerum novarum essi erano costituiti soprattutto dagli operai della nuova società industriale; nel
magistero sociale di Pio XI, di Pio XII, di Giovanni XXIII, di Paolo VI e di Giovanni Paolo II sono
state messe in luce nuove povertà man mano che l'orizzonte della questione sociale si allargava,
fino ad assumere dimensioni mondiali16. Questo allargamento della questione sociale alla globalità
va considerato nel senso non solo di un'estensione quantitativa, ma anche di un approfondimento
qualitativo sull'uomo e sui bisogni della famiglia umana. Per questo la Chiesa, mentre segue con
attenzione gli attuali fenomeni della globalizzazione e la loro incidenza sulle povertà umane, indica
i nuovi aspetti della questione sociale, non solo in estensione, ma anche in profondità, in quanto
concernenti l'identità dell'uomo e il suo rapporto con Dio. Sono principi di dottrina sociale che
tendono a chiarire i nessi tra povertà e globalizzazione e ad orientare l'azione verso la costruzione
della pace. Tra questi principi è il caso di ricordare qui, in modo particolare, l'« amore preferenziale
per i poveri »17, alla luce del primato della carità, testimoniato da tutta la tradizione cristiana, a
cominciare da quella della Chiesa delle origini (cfr At 4,32-36; 1 Cor 16,1; 2 Cor 8-9; Gal 2,10).
« Ciascuno faccia la parte che gli spetta e non indugi », scriveva nel 1891 Leone XIII, aggiungendo:
« Quanto alla Chiesa, essa non lascerà mancare mai e in nessun modo l'opera sua »18. Questa
consapevolezza accompagna anche oggi l'azione della Chiesa verso i poveri, nei quali vede Cristo19,
sentendo risuonare costantemente nel suo cuore il mandato del Principe della pace agli Apostoli: «
Vos date illis manducare – date loro voi stessi da mangiare » (Lc 9,13). Fedele a quest'invito del suo
Signore, la Comunità cristiana non mancherà pertanto di assicurare all'intera famiglia umana il
proprio sostegno negli slanci di solidarietà creativa non solo per elargire il superfluo, ma soprattutto
per cambiare « gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di
potere che oggi reggono le società »20. Ad ogni discepolo di Cristo, come anche ad ogni persona di
buona volontà, rivolgo pertanto all'inizio di un nuovo anno il caldo invito ad allargare il cuore verso
le necessità dei poveri e a fare quanto è concretamente possibile per venire in loro soccorso. Resta
infatti incontestabilmente vero l'assioma secondo cui « combattere la povertà è costruire la pace ».


BENEDICTUS PP. XVI