Cancello
ed Arnone (Matilde Maisto)
- Martedì 5 agosto u.s.
componenti del gruppo di “Letteratitudini”, tra cui Laura Sciorio, Felicetta
Montella, Matilde Maisto da Cancello ed Arnone e Raffaele Raimondo, Lella
Esposito, Francesca Raimondo e Raffaele Petrillo da Grazzanise si sono dati
appuntamento a Santa Maria Capua Vetere presso l’Anfiteatro campano per
assistere allo spettacolo “Eneide – Ciascuno patisce la propria ombra” da
Virgilio, Ovidio e Marlowe, con Viviana Altieri, Nadia Kibout, Giulia
Innocenti, nella drammaturgia e la regia di Matteo Tarasco. Scene e luci a cura
di Matteo Tarasco, costumi di Chiara Aversano. A fare da sfondo allo spettacolo
la splendida cornice dell’Anfiteatro Campano di Santa Maria Capua Vetere, in
affascinante conclusione della rassegna “Teatri di Pietra”. L’originale
allestimento, presentato da Arte e Spettacolo Domovoj in collaborazione con
Teatro Argot Studio e Dominio Pubblico, chiude, infatti, il ciclo di
appuntamenti programmati nei suggestivi siti archeologici partenopei, per la
rassegna Teatri di Pietra in Campania 2014, rete culturale per la
valorizzazione dei teatri antichi e dei siti monumentali attraverso lo
spettacolo dal vivo, ideata da CapuaAntica Festival con la collaborazione della Soprintendenza per
i Beni Archeologici, sotto l’egida del Patrocinio del Ministero per i Beni e le
Attività Culturali, della Regione Campania. Lo spettacolo inizia con una densa
nuvola di fumo che traghetta il pubblico nell’opaco viaggio per l’Averno di
Eneide – Ciascuno patisce la propria ombra. Nell’oscurità della nebbia
spettrale appaiono tre figure sinuose, dalle linee morbide, i tratti femminili,
vestite di lacrime di sangue essiccate in una ragnatela cremisi, che afferma la
loro condanna al mondo dell’aldilà. Sono le tre anime guida dello spettacolo. Il regista Matteo Tarasco, attraverso un dramma
delle ambientazioni seducenti, i toni solenni, con scenografie e costumi
semplici, prova a rievocare le sensazioni e le emozioni di un’epopea
fantasmagorica. Riscopre i meandri più segreti che questa storia immortale
offre, evidenziandone la figura del grande Enea, di cui, in questa nostra epoca
priva di eroi, è rimasta l’ombra. Lo spettacolo racconta il mito di Enea, dalla
caduta di Troia sino allo sbarco sulle coste italiche, attraverso la
testimonianza delle donne che lo hanno incontrato, amato e rinnegato: la moglie
Creusa, l’amante Didone, la Sibilla Cumana e la madre Venere. Travolgenti le
tre donne sul palco: Creusa, detta
Euridice nella tradizione più antica, era figlia di Priamo e di Ecuba,
nonché sorella di Ettore, Paride, Laodice,
Cassandra e Polissena. In seguito, Creusa sposò il cugino Enea, figlio di Anchise, da cui
ebbe un figlio, Ascanio,
e forse una figlia, Etia.
Creusa si smarrisce la notte della caduta di Troia. Enea riempì di richiami le
strade per ricercare la moglie quando scorse il suo fantasma. L'eroe tacque per
l'orrore, i capelli irti sul capo. Creusa parlò ribadendo che gli dèi avevano
voluto che essa non seguisse il marito nei suoi viaggi ma fosse assunta in
cielo per servire Cibele,
la Grande Madre. In un estremo, toccante addio, l'ombra della donna ripone in
Enea il suo amore per il figlioletto Ascanio. Enea protende gemendo le braccia
per abbracciare il collo di Creusa, ma per tre volte egli stringe aria, e il
fantasma si dissolve come un soffio di vento.
Didone, sotto l'influenza della sorella Anna
e di Venere e Giunone,
Didone si innamora di Enea
giunto naufrago a Cartagine con il suo popolo (I e IV libro dell'Eneide). È a
lei che l'eroe troiano racconta le vicende vissute a partire dalla fine di
Troia). La Fama diffonde fino a Iarba, re dei Getuli,
notizie del loro amore, che era stato consumato in una grotta; Iarba invoca suo
padre Giove Ammone, perché fermi il "Paride effeminato" che insidia
la regina, o piuttosto le sue mire su Cartagine. Tramite Mercurio, Giove impone la nuova partenza
all'eroe troiano, che lascia Didone dopo un ultimo terribile incontro, in cui
lei lo maledice e prevede eterna inimicizia tra i popoli (inimicizia che
infatti porterà secondo Virgilio alle Guerre
Puniche tra Roma
e Cartagine).
Poi, sviata Anna e la nutrice Barce con delle scuse, disperata si uccide con la
stessa spada che Enea
le aveva donato, gettandosi poi nel fuoco di una pira sacrificale. Enea
incontrerà poi di nuovo la regina nell'Ade,
nel bosco del pianto (VI libro), e manifesterà sincero dolore per la sua
repentina fine, non meno, forse, che immutata incapacità di comprenderne e
ricambiarne l'amore e la dedizione; ma l'ombra di Didone non lo guarderà
neppure negli occhi e resterà gelida, rifugiandosi poi dal marito Sicheo, con
cui si era ricongiunta nell'oltretomba (...coniunx ubi pristinus illi /
respondet curis aequatque Sychaeus amorem). Il silenzio finale di Didone è,
secondo Eliot, un riflesso del senso
di impossibilità di amare dello stesso Enea, schiavo del fato.
Sibilla Cumana Il titolo di Sibilla Cumana era
detenuto dalla somma sacerdotessa dell'oracolo di Apollo.
Ella svolgeva la sua attività oracolare nei pressi del Lago d'Averno, in una caverna conosciuta
come l'"Antro della Sibilla"
dove la sacerdotessa, ispirata dalla divinità, trascriveva in esametri i suoi
vaticini su foglie di palma le quali, alla
fine della predizione, erano mischiate dai venti provenienti dalle cento
aperture dell'antro, rendendo i vaticini "sibillini". La sua
importanza era nel mondo italico pari a quella del celebre oracolo di Apollo di Delfi
in Grecia. Tali Sibille
erano giovani vergini che svolgevano attività mantica in uno stato di trance.
Nel libro VI dell'Eneide, la Sibilla Cumana ha la doppia
funzione di veggente e di guida di Enea nell'oltretomba e la
presentazione dell'oracolo è accompagnata
dal cupo ritratto dei luoghi in cui vive e che formano un tutt'uno a suggerire
un'immagine di paura ma allo stesso tempo di mistero.
Per
concludere, uno spettacolo bello, interessante e culturalmente edificante.
Letteratitudini anche in questa uscita estiva ha mantenuto inalterati i suoi
canoni culturali e sociali.
Matilde Maisto