Un lavoratore iscritto
alla Filca Cisl di Napoli subiva un licenziamento disciplinare. Il datore, che
impiegava l'operaio con mansioni autista, contestava al dipendente di essere
stato responsabile delle avarie che erano occorse all'automezzo aziendale che
utilizzava e di non provvedere ai regolari rifornimenti di carburante perché
selezionava solo le stazioni di rifornimento dove poteva accumulare punti su
una propria personale carta fedeltà. Il lavoratore chiedeva l'assistenza
dell'avv. Domenico Carozza per impugnare l'espulsione davanti al Giudice del
Lavoro. Il lavoratore obbiettava, in particolare, che in diverse occasioni i
gestori delle stazioni di servizio avevano rifiutato il pagamento del carburante
con la carta di rifornimento fornita dalla azienda e che, pertanto, era stato
costretto a provvedere con proprio danaro al pagamento per le provviste di
carburante. Lo stesso puntualizzava che i guasti ai veicoli erano cagionati
dalla cattiva, se non proprio omessa, manutenzione degli stessi da parte della
società. In tema di licenziamento disciplinare,
secondo l'orientamento costante della Corte di Cassazione, è onere del datore
di lavoro di provare la sussistenza dei fatti che si imputano al lavoratore commessi
in violazione dei doveri di diligenza e fedeltà. Sennonché, nel corso del
processo, i fatti contestati al lavoratore non venivano riscontrati. Anzi,
emergeva che in più occasioni il lavoratore era stato costretto ai soccorsi
stradali nel cuore della notte perché l'automezzo non era efficiente, che in
diverse circostanze aveva dovuto pagare il carburante con proprie risorse e che
le carte di pagamento elettronico fornite dal datore di lavoro erano sovente
difettose e di ciò al lavoratore non veniva mai data preventiva notizia. Nel
corso del processo si appurava anche che la società aveva costretto alcuni
dipendenti a firmare dei documenti ove era contenuta una falsa ricostruzione
dei fatti sotto la minaccia del licenziamento. Il Giudice del lavoro ha,
quindi, dichiarato illegittimo il licenziamento. La società non contestava,
inoltre, il requisito dimensionale dell'organico né provvedeva in alcun modo a
provare l'effettiva consistenza della propria azienda. In applicazione della
tutela reale, la società è stata, quindi, condannata alla reintegra del
lavoratore e al pagamento del risarcimento del danno commisurato alle
retribuzioni dal giorno del licenziamento sino al giorno della reintegra oltre
al pagamento dei contributi assistenziali e previdenziali.