16 marzo 2010

Attualità e importanza della patologia tiroidea nel territorio matesino.

PIEDIMONTE MATESE. L’esistenza di una patologia tiroidea è stata sempre conosciuta fin dai tempo remoti: se ne ha notizia da Ippocrate che chiamava il gozzo “Choiron”, ed è citata da Giovenale nel primo secolo dopo Cristo, il quale già annotava la maggior presenza di gozzo nelle zone alpine. Galeno nel suo trattato “de voce” già descriveva questa ghiandola e notava il fenomeno dell’ipertrofia. Plinio addirittura intuì che il gozzo era un “vizio” delle acque potabili. La morfologia precisa fu identificata nel 1543 da Andrea Vesalio. Il Falloppio nel 1590 riconosce il gozzo come malattia legata all’ambiente dalla quale si può guarire cambiando sede. La denominazione di ghiandola tiroidea spetta a T. Wharton che l’ha così definita nel 1656 in base al rilievo dlela conformazione comparabile ad uno scudo oblungo. Nel 1813 la scoperta dello iodio ha focalizzato l’attenzione su questa sostanza facendo correlare la carenza alimentare dell’alogeno con la patogenesi del gozzo endemico. Il gozzo colpisce oggi in Italia circa 6 milioni di persone ossia più del 10% della popolazione, quindi malattia endemica dichiarata sociale dall’OMS. Questa percentuale secondo i dati forniti dal Comitato Nazionale della Prevenzione del Gozzo, che ha esaminato 71 mila bambini tra i 6 e i 14 anni residenti fuori città in località collinari e montane di quasi tutte le regioni italiane e 5 mila casi di controllo nelle aree urbane si è dimostrata maggiore del 20% e, in numerose località distribuite su tutto il territorio nazionale la malattia è presente in oltre il 50% dei giovani con punte del 73% in alcuni paesi della Campania! Oltre al gozzo semplice non bisogna dimenticare che in Italia si ammalano di cancro alla tiroide circa 9.000 persone all’anno, che rappresentano l’1% di tutti i tumori. E’ più diffuso tra le donne con un rapporto di 3,2:1, mentre il gozzo semplice ha un rapporto maggiore di 15:1. Il cancro alla tiroide ha avuto una incidenza moltiplicata da 10 a 100 volte come conseguenze del disastro nucleare di Chernobyl.
La zona matesina rispecchia fedelmente queste statistiche delle zone collinari e montane, cioè incidenza del gozzo superiore al 20%. Uno studio effettuato su una popolazione scolastica di età compresa tra 6 e 11 anni, qualche anno fa, tra il Molise e l’alto casertano ce ne dà conferma statistica. Questi dati dimostrano la notevole rilevanza socio-sanitaria della patologa tiroidea e l’importanza dell’intervento preventivo nell’infanzia per ridurre l’impatto sulla popolazione adulta.
Una volta che il gozzo si è manifestato bisogna inquadrarlo e classificarlo secondo lo schema proposto dalla American Tiroid Association e modificato in Italia da Andreoli. La classificazione è morfo-funzionale ma i dettagli esulano da queste brevi informazioni; in maniera semplicistica possiamo dividere la patologia gozzigena in gozzo semplice (45%); gozzo nodulare (34%); gozzo multinodulare(21%).
Fatte queste indispensabili premesse abbiamo chiesto al dott. Simonelli, specialista endocrinologo, responsabile della divisione di medicina della Casa di Cura Athena-Villa dei Pini, di fornirci brevi e semplici informazioni per individuare le patologie tiroidee e prevenire gravi conseguenze.Le malattie tiroidee, ci dice il dr. Simonelli, sono dovute principalmente ad alterazioni della quantità di ormoni tiroidei prodotti. Alcuni soggetti ne producono molto poco, dando luogo ad ipotiroidismo e ad un rallentamento delle funzioni corporee che causano sintomi, come aumento del peso corporeo, secchezza della pelle, costipazione, intolleranza al freddo, pelle anelastica e gonfia, caduta di capelli, stanchezza e irregolarità mestruale nella donna. L’ipotiroidismo grave, non curato, chiamato mixedema, può portare a patologie cardiache, convulsioni e coma. Se invece la malattia tiroidea produce eccessive quantità di ormoni, la conseguenza è l’ipertiroidismo con accelerazione delle funzioni corporee. Questo può portare a sintomi come l’aumento della frequenza cardiaca, ansietà, perdita di peso, insonnia tremore alle mani, debolezza e qualche volta diarrea. Può esserci gonfiore intorno agli occhi, secchezza, irritazione, e, in qualche caso, protrusione degli occhi (esoftalmo).
I disturbi tiroidei frequentemente si accompagnano ad un ingrossamento della ghiandola tiroidea in toto o alla presenza di uno o più noduli in uno o entrambi i lobi. Un quadro clinico di ipo o ipertiroidismo può comparire anche in caso di alterata funzionalità ipotalamica (eccesso o difetto di TRH) e anche in associazione a varie patologie tiroidee che alterano la produzione degli ormoni tiroidei indipendentemente dalle concentrazioni ematiche di TSH. La corretta funzione della ghiandola tiroidea è garantita da un adeguato apporto nutrizionale di iodio. Tuttavia la presenza di questo elemento nelle acque e negli alimenti è molto variabile e spesso troppo scarsa rispetto ai fabbisogni umani. La carenza di iodio, è uno dei più gravi problemi di salute pubblica secondo stime dell’OMS e si traduce in diverse patologie più o meno gravi a seconda dell’età e del sesso. Una carenza di ormone tiroideo durante la vita fecale e neonatale può avere effetti diversi fino all’arresto irreversibile della maturazione dell’encefalo con gravi conseguenze sullo sviluppo intellettivo configurando un quadro di ritardo mentale, sordomutismo e paralisi spastica. Per evitare tali complicanze da anni esiste l’obbligo di dosare gli ormoni tiroidei di neonati con un piccolo prelievo di sangue. Il fabbisogno di iodio e quindi particolarmente elevato per le donne in gravidanza e per i bambini. Secondo le stime attuali, un neonato su tremila nasce con una forma di malattia tiroidea.
Cosa occorre fare?
Una volta sospettata una patologia tiroidea occorre eseguire un iter diagnostico che consiste in:
Esame di laboratorio (ormoni tiroidei)
Ecografia tiroidea al color-doppler
Scintigrafia tiroidea
Agoaspirato
Una volta posta la diagnosi spesso la terapia medica non è sufficiente a risolvere la patologia sia per fenomeni complessivi (effetto massa) dovuti al volume della ghiandola, sia per le continue recidive dei noduli “caldi”, che sostengono spesso una condizione di ipertiroidismo, sia perché l’esame citologico con l’agoaspirato ha fatto porre diagnosi di cancro.
A questo punto interviene il chirurgo, Dott. S. Spagnolo, spiegandoci i rischi dell’intervento e le relative conseguenze:
“Oggi le opzioni tecniche comprendono: la tecnica tradizionale, più invasiva, la tecnica minincisionale (MIT), che prevede incisioni più piccole anche per grossi gozzi, e la tecnica videossistita, riservata a tiroidi di piccole dimensioni e in casi ben selezionati.
Gli interventi della tiroide vanno quindi dalla semplice enucleoresezione, quasi non più effettuata, alla lobectomia parziale, riservata a patologie che coinvolgono solo un lobo tiroideo, alla tiroidectomia subtotale, alla tiroidectomia totale per patologie coinvolgenti gran parte della ghiandola. Attualmente quest’ultimo intervento è quello statisticamente più eseguito. Per il cancro della tiroide è senz’altro indicata la totale ? con eventuale linfoadenectomia del compartimento centrale e successiva terapia radiometabolica con iodio marcato, i risultati terapeutici sono eccellenti con percentuale di successo maggiore del 90%.
Le complicanze possono essere così compendiate: lesioni unilaterali dei nervi ricorrenti che possono portare a paralisi delle corde vocali con relativa disfonia o afonia; insufficienza respiratoria, emorragia delle loggia tiroidea; ipocalcemia transitoria o permanente per lesione o asportazione delle paratiroidi.
Va chiarito che queste complicanze con le nuove tecniche, sono molto rare.


Nicola Iannitti