Inizio da oggi la pubblicazione di alcuni brani tratti dalla mia autobiografia, intitolata "Il guastafeste", pubblicata da "Ponte alle Grazie" e scritta dal mio intervistatore, Gianni Barbacetto.
"Da Mani pulite all'Italia dei valori, dal lavoro di magistrato a quello di fondatore e capo di un partito politico, questo libro racconta la mia esperienza politica e umana. Molti si sono rammaricati perché lasciai anzitempo la magistratura e soprattutto lasciai a metà il lavoro di « pulizia ». Altri mi hanno rimproverato di aver sprecato l'occasione della mia vita quando, all'indomani delle dimissioni, non ne approfittai per diventare l'« uomo forte » che l'Italia sembrava attendere, presentandomi immediatamente alle elezioni. Altri ancora mi hanno snobbato da subito, convinti che durante l'inchiesta di Mani pulite ero stato un burattino nelle mani di altri e che quindi rappresentavo solo una bolla di sapone, un « soufflé » destinato a essere risucchiato nell'oblio nello spazio di un mattino. Si sa, la vita pubblica è come il gioco del calcio: c'è chi gioca e chi, dagli spalti, è bravo a dar consigli o a criticare inferocito. La questione di fondo è, però, scegliere che cosa si vuole fare, se il giocatore o lo spettatore. E io ho scelto di fare il giocatore, con tutti i rischi e le incertezze del mestiere ma anche tutte le soddisfazioni che può dare l'orgoglio di essere in campo, pronti ogni volta a giocarsi la partita della vita. E così, dopo aver appeso al chiodo la toga e aver rinunciato agli allori di Mani pulite, inchiesta per la quale ero stato riverito in tutto il mondo, non mi sono rassegnato ad appendere anche le scarpe. Sia chiaro: non ho lasciato la magistratura per un capriccio o perché avevo progetti alternativi. L'ho lasciata con la morte nel cuore perché costretto dalle circostanze: erano stati messi in discussione il mio operato investigativo e la mia dignità umana. Da magistrato ho fatto il mio dovere e ne ho pagato le conseguenze: ma se dovessi ritornare indietro rifarei l'inchiesta nello stesso modo e con la stessa determinazione di allora. Forse con qualche scaltrezza e qualche accorgimento in più: ma solo perché ora ho capito meglio i suoi rituali e le sue ipocrisie. Così mi sono messo in politica. L'ho fatto a ragion veduta: da magistrato avevo scoperchiato i malanni del sistema politico e imprenditoriale italiano, dunque ho pensato che da politico avrei potuto contribuire a trovarne la cura, che per me consisteva e consiste ancora essenzialmente nel ricambio generazionale della classe politica. Ho quindi iniziato una nuova avventura, ricominciando da zero: ho fondato un partito nuovo, ho girovagato di città in città, di piazza in piazza cercando di creare un nuovo ceto politico. In questi anni, passo dopo passo, mattone dopo mattone, sono riuscito a costruire una casa nuova per tanti cittadini ed elettori scontenti, con buona pace di coloro che pensavano che il mio successo da magistrato fosse stato uno scherzo del destino. Certo, non è stato facile e i lavori sono ancora tutti in corso, ma le fondamenta ora ci sono tutte e sono anche belle solide. Non sempre la ciambella è riuscita con il buco e qualche volta mi è capitato di incappare in qualche ferro vecchio o in qualche mela marcia, ma questi sono gli incerti del mestiere; e chi non sbaglia mai scagli la prima pietra. L'importante è liberarsi immediatamente delle zavorre non appena si riesce a riconoscerle come tali, e io sempre così mi sono comportato e mi voglio comportare. Anche ora che faccio politica però – così come mi era successo da magistrato – montano le critiche e le riserve sul mio operato. Vengo spesso apostrofato nei modi più disparati: antidemocratico, populista, giustizialista, eversivo, pericoloso, malvagio, « analfabeta democratico », e chi più ne ha più ne metta. Sembra a volte che la colpa di tutto quello che è accaduto negli ultimi quindici anni sia mia e non di chi ha commesso reati e ruberie varie, di chi ha approfittato del proprio ruolo per farsi i comodi suoi (e anche leggi a proprio uso e consumo). Allora mi sono detto: ma è veramente così? Davvero sono io l'anomalia di questo Paese? Davvero sono io in errore e non invece chi ha bisogno di denigrare me per giustificare sé? In fondo qual è la mia colpa? Certo, anche da politico ho sempre insistito nel denunciare le ruberie della mala amministrazione e le furbizie della politica, ma ho sempre ritenuto che questo fosse un merito e non un demerito. Sono domande che mi rimbombano nella testa soprattutto quando giro per strada, organizzo e partecipo a manifestazioni, mi confronto con i cittadini comuni. Tutte queste persone hanno del mio operato una visione totalmente diversa dai signori del Palazzo: mi ringraziano, mi stimolano ad andare avanti, chiedono un impegno ancora maggiore, si riconoscono nelle mie battaglie, politiche di oggi e giudiziarie di ieri. Ho ancora dentro di me il calore dei partecipanti alle manifestazioni di piazza Navona, ho davanti agli occhi il Circo Massimo e tante donne e uomini, che, pure essendo stati lì chiamate dal Partito democratico, facevano la fila ai gazebo dell'Italia dei valori per firmare il referendum contro il lodo Alfano; rivivo la calda accoglienza degli studenti e degli insegnanti alla manifestazione del 30 ottobre contro la legge Gelmini; sento sulla mia pelle l'incondizionata fiducia ricevuta dai lavoratori di Alitalia… Non posso essere io il giudice di me stesso: per questo vorrei rivolgermi idealmente ai cittadini e ai lettori e chiedere a loro che cosa pensano del mio operato. Le domande che porrei sono sostanzialmente due. Primo: da magistrato, ho fatto bene o ho fatto male a fare l'inchiesta Mani pulite nei modi e con i metodi con cui l'ho fatta? Secondo: da politico, ho fatto bene o ho fatto male a fondare un nuovo partito per rilanciare la questione morale e la legalità nella politica e negli affari, oppure per questi temi etici bastano i partiti esistenti? Sono domande, però, a cui vorrei che i cittadini – i veri e soli giudici del mio operato – potessero dare una risposta dopo aver ascoltato anche la mia versione dei fatti, giacché finora sono stato sempre « processato » solo da chi – in totale conflitto d'interessi con la mia azione prima di magistrato e poi di politico – ha avuto e ha convenienza a screditare il mio operato. Ecco, da queste riflessioni è nata l'idea di un libro che racconti la mia verità. Più che un libro è una confessione « sotto giuramento », resa ad un giornalista serio e indipendente come Gianni Barbacetto. Con le sue domande senza filtro, Barbacetto si è messo nei panni di un cittadino-giudice-lettore che voglia valutare il « fenomeno Di Pietro » in modo informato. Alla fine del dialogo tra me e Barbacetto, ci siamo domandati, e insieme a noi l'editore: che titolo diamo a questo lavoro? Gira e rigira, il primo titolo a cui abbiamo pensato è stato come il primo amore, ci è tornato sempre in mente: Il guastafeste. In fondo è vero: sono stato e sono un guastafeste, nel senso più letterale del termine però, e ne sono orgoglioso. Svolgendo il mio lavoro ho « guastato la festa » a politici maneggioni, ho interrotto il banchetto di imprenditori senza scrupoli, ho scoperchiato le pentole della Casta, ho sbugiardato speculatori e finanzieri d'assalto, ho ridicolizzato le mille ipocrisie di cui si circonda il Palazzo. Per carità, niente di eccezionale, ho fatto solo il mio dovere: ma di questi tempi, fare il proprio dovere sembra sia diventata un'anomalia."
"Da Mani pulite all'Italia dei valori, dal lavoro di magistrato a quello di fondatore e capo di un partito politico, questo libro racconta la mia esperienza politica e umana. Molti si sono rammaricati perché lasciai anzitempo la magistratura e soprattutto lasciai a metà il lavoro di « pulizia ». Altri mi hanno rimproverato di aver sprecato l'occasione della mia vita quando, all'indomani delle dimissioni, non ne approfittai per diventare l'« uomo forte » che l'Italia sembrava attendere, presentandomi immediatamente alle elezioni. Altri ancora mi hanno snobbato da subito, convinti che durante l'inchiesta di Mani pulite ero stato un burattino nelle mani di altri e che quindi rappresentavo solo una bolla di sapone, un « soufflé » destinato a essere risucchiato nell'oblio nello spazio di un mattino. Si sa, la vita pubblica è come il gioco del calcio: c'è chi gioca e chi, dagli spalti, è bravo a dar consigli o a criticare inferocito. La questione di fondo è, però, scegliere che cosa si vuole fare, se il giocatore o lo spettatore. E io ho scelto di fare il giocatore, con tutti i rischi e le incertezze del mestiere ma anche tutte le soddisfazioni che può dare l'orgoglio di essere in campo, pronti ogni volta a giocarsi la partita della vita. E così, dopo aver appeso al chiodo la toga e aver rinunciato agli allori di Mani pulite, inchiesta per la quale ero stato riverito in tutto il mondo, non mi sono rassegnato ad appendere anche le scarpe. Sia chiaro: non ho lasciato la magistratura per un capriccio o perché avevo progetti alternativi. L'ho lasciata con la morte nel cuore perché costretto dalle circostanze: erano stati messi in discussione il mio operato investigativo e la mia dignità umana. Da magistrato ho fatto il mio dovere e ne ho pagato le conseguenze: ma se dovessi ritornare indietro rifarei l'inchiesta nello stesso modo e con la stessa determinazione di allora. Forse con qualche scaltrezza e qualche accorgimento in più: ma solo perché ora ho capito meglio i suoi rituali e le sue ipocrisie. Così mi sono messo in politica. L'ho fatto a ragion veduta: da magistrato avevo scoperchiato i malanni del sistema politico e imprenditoriale italiano, dunque ho pensato che da politico avrei potuto contribuire a trovarne la cura, che per me consisteva e consiste ancora essenzialmente nel ricambio generazionale della classe politica. Ho quindi iniziato una nuova avventura, ricominciando da zero: ho fondato un partito nuovo, ho girovagato di città in città, di piazza in piazza cercando di creare un nuovo ceto politico. In questi anni, passo dopo passo, mattone dopo mattone, sono riuscito a costruire una casa nuova per tanti cittadini ed elettori scontenti, con buona pace di coloro che pensavano che il mio successo da magistrato fosse stato uno scherzo del destino. Certo, non è stato facile e i lavori sono ancora tutti in corso, ma le fondamenta ora ci sono tutte e sono anche belle solide. Non sempre la ciambella è riuscita con il buco e qualche volta mi è capitato di incappare in qualche ferro vecchio o in qualche mela marcia, ma questi sono gli incerti del mestiere; e chi non sbaglia mai scagli la prima pietra. L'importante è liberarsi immediatamente delle zavorre non appena si riesce a riconoscerle come tali, e io sempre così mi sono comportato e mi voglio comportare. Anche ora che faccio politica però – così come mi era successo da magistrato – montano le critiche e le riserve sul mio operato. Vengo spesso apostrofato nei modi più disparati: antidemocratico, populista, giustizialista, eversivo, pericoloso, malvagio, « analfabeta democratico », e chi più ne ha più ne metta. Sembra a volte che la colpa di tutto quello che è accaduto negli ultimi quindici anni sia mia e non di chi ha commesso reati e ruberie varie, di chi ha approfittato del proprio ruolo per farsi i comodi suoi (e anche leggi a proprio uso e consumo). Allora mi sono detto: ma è veramente così? Davvero sono io l'anomalia di questo Paese? Davvero sono io in errore e non invece chi ha bisogno di denigrare me per giustificare sé? In fondo qual è la mia colpa? Certo, anche da politico ho sempre insistito nel denunciare le ruberie della mala amministrazione e le furbizie della politica, ma ho sempre ritenuto che questo fosse un merito e non un demerito. Sono domande che mi rimbombano nella testa soprattutto quando giro per strada, organizzo e partecipo a manifestazioni, mi confronto con i cittadini comuni. Tutte queste persone hanno del mio operato una visione totalmente diversa dai signori del Palazzo: mi ringraziano, mi stimolano ad andare avanti, chiedono un impegno ancora maggiore, si riconoscono nelle mie battaglie, politiche di oggi e giudiziarie di ieri. Ho ancora dentro di me il calore dei partecipanti alle manifestazioni di piazza Navona, ho davanti agli occhi il Circo Massimo e tante donne e uomini, che, pure essendo stati lì chiamate dal Partito democratico, facevano la fila ai gazebo dell'Italia dei valori per firmare il referendum contro il lodo Alfano; rivivo la calda accoglienza degli studenti e degli insegnanti alla manifestazione del 30 ottobre contro la legge Gelmini; sento sulla mia pelle l'incondizionata fiducia ricevuta dai lavoratori di Alitalia… Non posso essere io il giudice di me stesso: per questo vorrei rivolgermi idealmente ai cittadini e ai lettori e chiedere a loro che cosa pensano del mio operato. Le domande che porrei sono sostanzialmente due. Primo: da magistrato, ho fatto bene o ho fatto male a fare l'inchiesta Mani pulite nei modi e con i metodi con cui l'ho fatta? Secondo: da politico, ho fatto bene o ho fatto male a fondare un nuovo partito per rilanciare la questione morale e la legalità nella politica e negli affari, oppure per questi temi etici bastano i partiti esistenti? Sono domande, però, a cui vorrei che i cittadini – i veri e soli giudici del mio operato – potessero dare una risposta dopo aver ascoltato anche la mia versione dei fatti, giacché finora sono stato sempre « processato » solo da chi – in totale conflitto d'interessi con la mia azione prima di magistrato e poi di politico – ha avuto e ha convenienza a screditare il mio operato. Ecco, da queste riflessioni è nata l'idea di un libro che racconti la mia verità. Più che un libro è una confessione « sotto giuramento », resa ad un giornalista serio e indipendente come Gianni Barbacetto. Con le sue domande senza filtro, Barbacetto si è messo nei panni di un cittadino-giudice-lettore che voglia valutare il « fenomeno Di Pietro » in modo informato. Alla fine del dialogo tra me e Barbacetto, ci siamo domandati, e insieme a noi l'editore: che titolo diamo a questo lavoro? Gira e rigira, il primo titolo a cui abbiamo pensato è stato come il primo amore, ci è tornato sempre in mente: Il guastafeste. In fondo è vero: sono stato e sono un guastafeste, nel senso più letterale del termine però, e ne sono orgoglioso. Svolgendo il mio lavoro ho « guastato la festa » a politici maneggioni, ho interrotto il banchetto di imprenditori senza scrupoli, ho scoperchiato le pentole della Casta, ho sbugiardato speculatori e finanzieri d'assalto, ho ridicolizzato le mille ipocrisie di cui si circonda il Palazzo. Per carità, niente di eccezionale, ho fatto solo il mio dovere: ma di questi tempi, fare il proprio dovere sembra sia diventata un'anomalia."