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§
o
erano del tutto ignari della proposizione dei ricorsi stessi, in quanto non avevano
mai sottoscritto alcun mandato (la successiva consulenza grafica, in tali casi,
ha confermato la falsità della sottoscrizione);
§
o
erano addirittura già deceduti al momento in cui avrebbero conferito il mandato
ad litem ai suddetti avvocati.
È
stato accertato, in sostanza, che i predetti professionisti avevano costituito
un sodalizio (con precisa suddivisione dei ruoli nell’ambito dello stesso)
finalizzato a realizzare un efficace sistema di frode ai danni della Telecom, utilizzando finti “clienti”, in
genere del tutto ignari della proposizione dei ricorsi. La
truffa veniva realizzata nel seguente modo: l’avv. Calandra, attraverso “procacciatori
di affari” nei cui confronti sono in corso le indagini, individuava i dati
anagrafici di clienti della citata compagnia telefonica (all’insaputa in genere
degli interessati); successivamente, interveniva l’avv. Vallefuoco, il quale
approntava atti falsi per far apparire realizzata la procedura di conciliazione
(che, ovviamente, non andava mai a buon fine), condizione di procedibilità per
il successivo conseguente ricorso al Giudice di Pace, presentato, invece,
dall’avv. Amirante; infine, nell’ultima fase, dopo la costante soccombenza
della Telecom, veniva attivato di
nuovo l’avv. Calandra, che poneva in essere gli atti di precetto per la
ripetizione delle spese legali contro la società condannata. I ricorsi seriali
– nonostante la maggior parte degli apparenti attori fosse residente in Napoli
– venivano tutti incardinati presso il giudice di pace di Santa Maria Capua
Vetere (dove l’associazione aveva sede operativa) attraverso l’escamotage dell’elezione di domicilio,
anche per il grado di appello, in Santa Maria Capua Vetere presso lo studio
dell’avv. Amirante. In tal modo gli ignari ricorrenti non avevano alcuna
possibilità di venire a conoscenza dell’instaurazione della causa civile in loro
nome e per loro conto instaurata dagli odierni arrestati. I tre avvocati,
inducendo in errore il giudice di pace sulla sussistenza dei mandati alle liti,
ottenevano, nella gran parte dei casi, la condanna della compagnia telefonica
alla ripetizione delle inconsistenti spese di spedizione della bolletta e,
soprattutto, il ristoro delle spese legali, che costituivano il vero prodotto
della truffa (che si calcola abbia fruttato agli avvocati circa 200.000 euro). Nei confronti degli altri sei partecipi all’associazione,
che avevano il ruolo di procacciatori di potenziali clienti, il GIP non ha
ritenuto sussistenti sufficienti indizi di colpevolezza in ordine al reato
associativo.
Il Procuratore della
Repubblica Aggiunto
Dr.ssa Raffaella Capasso