La situazione di sofferenza, finanziaria e funzionale, nella quale versano gli enti locali è stata recentemente confermata dai dati della Ragioneria generale dello stato: gli enti locali hanno contribuito in misura preponderante alle riduzioni di spesa per il risanamento della finanza pubblica. Eppure, sotto la spinta convergente dei progressivi tagli ai trasferimenti statali e dell’inasprimento del Patto di stabilità, si chiede alle autonomie locali di continuare a stringere la cinghia rinunciando a 500 milioni di trasferimenti statali, solo nel 2012, e 2 miliardi a partire dal 2013. A poco vale che la procedura per l’individuazione dei tagli garantisca la loro selettività in base ai livelli di virtuosità della gestione finanziaria di ogni singolo Ente. Questa misura non vale, da sola, a garantire la tenuta dei servizi. È la nota di lettura del decreto predisposta dal Servizio Bilancio del Senato a dirlo: la riduzione delle entrate per i comuni e le province, se non accompagnata da un incremento corrispondente di entrate, vale a dire dall’innalzamento delle tasse, pone un problema di praticabilità e di sostenibilità degli obiettivi di risparmio connessi al rispetto del patto di stabilità interno. E questo equivale a condannare diversi enti al dissesto finanziario. Ci sarebbe voluta una soglia più alta per la soppressione di enti, agenzie e organismi: un esercito di poltrone che costringe i cittadini a pagare due volte, come contribuenti e come consumatori. Viene da chiedersi se il non considerare prioritariamente l’ente come uno strumento a servizio della collettività di riferimento e dei suoi bisogni, e riproporre invece un approccio “ragionieristico” alla gestione dell’ente locale finalizzata a realizzare sistematicamente avanzi, possa garantire quella invarianza dei servizi scolpita nel titolo del decreto. L’esigenza di trasparenza, di rigore e di rispetto di sani equilibri economico‐finanziari sono fondamentali, ma non possono certamente costituire il fine ultimo della gestione. E se si fosse voluto perseguirli nell’ottica di un taglio vero alla spesa improduttiva, allora si sarebbe potuta fissare una soglia più alta del 20% per la soppressione di enti, agenzie e organismi, un esercito di poltrone che costringe i cittadini a pagare due volte: come contribuenti, perché sopportano il costo di imprese spesso inefficienti e in perdita, e come consumatori, costretti a rivolgersi a gestori selezionati perché contigui al potere pubblico e non perché capaci di offrire prestazioni migliori a condizioni più vantaggiose.
COMUNICATO CISL FUNZIONE PUBBLICA