Il
titolo che abbiamo inteso dare a questa nostra riflessione non si ispira
al capolavoro di Luchino Visconti ma alla recentissima decisione del
manager Marchionne di "annullare" di fatto la sentenza che sanciva
il reintegro di 19 lavoratori licenziati per motivi discriminatori, attraverso
la messa in mobilità di altrettanti dipendenti dello stabilimento di
Pomigliano. Superato
il primo momento di indignazione per una decisione tanto iniqua ed
assurda, che viola ogni principio di civiltà giuridica
e, con protervia , certifica che la Fiat si sente in qualche modo libera
rispetto alle decisioni della nostra giurisdizione, occorre comprendere quali -
al di là di problemi psicologici che non abbiamo competenza ad analizzare - possano
essere le motivazioni vere di una strategia complessiva che porta Marchionne ad
alimentare una escalation conflittuale che sembra destinata a non aver fine,
con l'introduzione - con questa ultima decisione - del concetto di rappresaglia.
In premessa appare ormai evidente che, al di là della fiaba del mai
definito progetto "Fabbrica Italia", l'intento era quello di
devitalizzare ogni forma di confronto sindacale serio , decostruire gli
impianti normativi ed eliminare alla radice la cultura della concertazione,
che pure ha consentito decenni di positive relazioni industriali. In una
parola - con il pretesto delle necessità del mercato e della globalizzazione -
avere mano libera per la "Fabbrica Corea". Strumenti per creare divergenze
e conflitti tra i sindacati e gli stessi lavoratori non sono state solo
le promesse mai mantenute ed i progetti mai presentati ma soprattutto il
"contratto-capestro" di Pomigliano che ha diviso i lavoratori e
li ha posti in una condizione umana aberrante nella scelta tra salvare ( per
quanto ?) il lavoro o affermare la propria dignità. Chiunque , persona o sigla
sindacale, si sia opposto a questo originale modo di intendere il rapporto di
lavoro, ostile a regole, leggi ed accordi, è diventato "disobbediente"
e - come tale - da eliminare in un crescendo, appunto ossessivo, caratteristico
di questo nuovo campione del neo liberismo che in pochi anni sta liquidando
l'industria automobilistica nazionale e, con essa, un pezzo della nostra storia.
Per quanto detto mentre sino ad ieri sia nelle ragioni della Fiom che delle
altre sigle si potevano ravvisare, al di là di qualche spunto polemico,
elementi di giustezza , a sipario ormai ampiamente lacerato la
solidarietà deve essere piena nei confronti della sigla di Landini e l'unità
del sindacato diventa urgente e necessaria. Dobbiamo tuttavia paradossalmente
un grazie al Signor Marchionne . In realtà il guru abruzzese ci ha
richiamato bruscamente alla realtà di un paese imbambolato da un dibattito
su temi molto aerei quali la "rottamazione" dei politici , nuovi
e vecchi "centri" , moderati D.O.C. e non, giovani contro vecchi
ecc., senza mai che nessuna forza politica si pronunzi in modo chiaro sui veri
nodi delle future scelte di governo : giustizia sociale e lavoro
chiarendo da che parte sta, e cioè con chi lavora e soffre o con
chi specula e pretende di impartire anche lezioni di
efficienza. In effetti in questo nostro paese, grazie anche alla
filosofia di un certo mondo economico ed al rigore strabico
dell'attuale governo, i diritti sociali e le aspettative di equità
appaiono in serio pericolo. Purtuttavia
la "mossa" di Marchionne va ben al di là di ogni capacità di
sopportazione di uno stato democratico e rappresenta uno schiaffo non solo per
la Magistratura ma anche per quella Costituzione che pure , e per fortuna,
ha sinora resistito a tanti tentativi di "modernizzazione". Ecco
perchè ci sentiamo di condividere l'appello rivolto da Della Valle e da tanti
al Presidente Napolitano ed a Monti perchè rammentino al Signor
Marchionne che quando si mette in discussione il Paese e le sue leggi non vi
sono tra gli Italiani divisioni di parte o di sindacato e che, sempre per
fortuna, non siamo nell'Illinois.
Carta ‘48