Il cambio alla guida del Paese aveva fatto sperare in un cambio di passo rispetto alle manovre più recenti. Si era tornati a parlare di analisi della spesa voce per voce, di lotta agli sprechi, di riorganizzazione della Pa. Si era detto, è sottoscritto non più tardi del 3 maggio scorso, che bisognava smontare e rimontare le amministrazioni pubbliche per renderle più moderne e meno costose. Che bisognava fare una selezione dei servizi essenziali e poi investire in competenze e professionalità. Passare al microscopio i bilanci e le attività, e poi decidere una terapia mirata e selettiva. E poi… niente! Non c’è selettività nei tagli, né considerazione per le specificità delle diverse amministrazioni. Di quelle dove gli organici sono già all’osso, e inevitabilmente toglierne ancora porterà a tagliare i servizi perché mancherà chi deve svolgerli. Di quelle che sono sottoposte ai patti di stabilità o alle norme del patto per la salute, dove si finirà per dare meno assistenza gratuita e costringere le famiglie a pagare prestazioni ed esami di tasca propria. Di quelle, per colmo di paradosso, che quando funzionano bene portano soldi alle casse dello Stato, come le Agenzie fiscali. Che dovrebbero contrastare ancora più efficacemente evasione e sommerso e invece non solo scontano carenze di organico che nessuno ha mai colmato, ma tra tagli ulteriori e accorpamenti si assottiglieranno ancora. E non andrebbe meglio ai ministeri, dalle Infrastrutture alla Giustizia, dalla Difesa alla Salute e perfino al Lavoro: con buona pace della sventolata priorità di una riforma “epocale” da implementare.
Spending review deve significare:
‐ riorganizzare le amministrazioni pubbliche per renderle più moderne e meno
costose,
‐ fare una selezione dei servizi essenziali e poi investire in competenze e
professionalità,
‐ passare al microscopio i bilanci e le attività, e poi decidere una terapia mirata e
selettiva per eliminare sprechi e spesa improduttiva
‐ riorganizzare le amministrazioni pubbliche per renderle più moderne e meno
costose,
‐ fare una selezione dei servizi essenziali e poi investire in competenze e
professionalità,
‐ passare al microscopio i bilanci e le attività, e poi decidere una terapia mirata e
selettiva per eliminare sprechi e spesa improduttiva
Tagliare bene, spendere bene: una questione di scelteTagliare alla cieca è una ricetta che non funziona e non funzionerà mai. Basterebbe, a chi vuole intendere, guardare quali effetti hanno già sortito simili misure nella scuola, che ha ridotto del 12% i docenti e del 17% il personale amministrativo e ausiliario: classi affollate, tempo scuola insufficiente, disagi per gli alunni e le famiglie. Spesso mancano persino gli ausiliari per aprire e chiudere le scuole. Fortunatamente sembra tramontata l’ipotesi di sostituire con appalti esterni i collaboratori scolastici, non considerando la complessità e la delicatezza dei compiti che sono affidati a queste figure. E non considerando che un appalto non sempre costa meno e non sempre garantisce un servizio migliore, anzi accade più spesso il contrario. Tagliare servendosi dello strumento di una mobilità non concertata sarebbe controproducente per tutti: per i lavoratori, che vedrebbero sprecate le competenze accumulate in anni di servizio; per i cittadini, che non avrebbero alcun vantaggio in termini di efficienza e produttività dei servizi; ma anche per lo Stato, perché il ricorso al prepensionamento o all’esubero non è senza costi a carico della sicurezza sociale. Più che un problema di numeri, la revisione della spesa pubblica è un problema di scelte. Bisogna prendere decisioni a monte rispetto alle politiche pubbliche e ai servizi indispensabili da erogare: quale istruzione, quale sicurezza, quale sanità, quale welfare… e poi, in relazione agli obiettivi fissati, mettere mano al riordino degli enti, agli accorpamenti, alla mobilità, all’efficientamento. Con la digitalizzazione dei servizi, la mappatura delle competenze, il ridisegno del perimetro della spesa pubblica, la revisione della governance dei processi produttivi. Eliminando quello che è davvero improduttivo, cioè gli sprechi e le disorganizzazioni. Razionalizzando fino in fondo in ambiti che questo decreto inizia appena ad intaccare, come la gestione degli immobili ad uso pubblico. Usando con coraggio anche le forbici, dove occorre: ad esempio per snellire i consigli di amministrazione delle miriadi di società controllate e partecipate. E definendo le vere e proprie misure di riorganizzazione, ente per ente, con il coinvolgimento dei lavoratori: puntando a migliorare la produttività attraverso una governance partecipata.
Comunicato CISL-FP