CAPUA. Ricorre oggi il settantesimo anniversario
del bombardamento aereo americano su Capua, uno dei più devastanti tra quelli
effettuati sull’intero territorio italiano nel corso della seconda guerra
mondiale. Quel giovedì è il giorno stabilito per lo sbarco a Salerno, ma anche
quello successivo alla dichiarazione dell’armistizio. Così come nella maggior
parte della penisola, anche i capuani sono scesi in strada a festeggiare la
“conclusione” della guerra. Ma poche ore dopo, alla gioia si contrappone
l’incredulità e il panico: infatti, mentre le strade sono gremite di gente che
sta tornando nelle proprie case dopo lo “sfollamento” e saluta con i fazzoletti
il passaggio degli aerei, l’antico centro subisce l’incursione più devastante
di tutto il conflitto. Sulla carta, come si evince dagli ordini diramati dalle
forze aeree strategiche americane per le operazioni di sbarco, l’obiettivo
primario è il ponte stradale sul Volturno, quello secondario il ponte
ferroviario. La distruzione di questi bersagli avrebbe impedito ai tedeschi di
inviare uomini e mezzi nell’area della testa di sbarco. Tuttavia, per la
vicinanza di tali obiettivi con il centro della città, le cose vanno
diversamente e gran parte del “carico di morte” finisce sulle abitazioni a
causa di lanci disassati. La città, già da qualche settimana, è stata
considerata dagli strateghi alleati un punto nevralgico per i piani di avanzata
delle forze anglo-americane, pronte a sbarcare nella piana del Sele, ed un caposaldo
della difesa tedesca. La presenza di campi di volo, di numerose caserme, del
Pirotecnico, dello scalo ferroviario e dei ponti sul Volturno
risultano determinanti in tal senso. Per tali motivi, già a partire dal mese di
luglio aveva subito numerosi attacchi aerei e decine di vittime. L’attacco
diurno del 9 settembre 1943 inizia alle 9.28 e viene effettuato con settantuno
“fortezze volanti” B-17 dei gruppi di bombardamento americani 99° e 97°, da
circa 8.000 metri per evitare gli attacchi della contraerea nemica. La notevole
altezza diventa il fattore determinante della devastazione dell’abitato sul
quale vengono sganciate 172 tonnellate di bombe. Gli ufficiali
dell’“intelligence” che analizzano le fotografie scattate dopo il raid
attestano il buon esito dell’operazione che aveva rimpiazzato egregiamente un
lancio di paracadutisti sulla sponda settentrionale del Volturno, annullato
poche ore prima. Quello che i rapporti della missione non restituiscono è
l’entità delle distruzioni: in essi vengono segnalati genericamente «gravi
danni ad un quarto della città». Il bilancio delle vittime è pesante – circa un
migliaio di civili – mentre il ricco patrimonio monumentale viene sfregiato indelebilmente:
il Duomo è quasi raso al suolo, pesanti danni sono provocati alle chiese
dell’Annunziata e di San Giuseppe; il Museo Campano subisce gravi danni
strutturali con il crollo di tutta l’ala sinistra, corrispondente al palazzo
Antignano. Per di più, centinaia di abitazioni vengono distrutte o gravemente
danneggiate. Infatti, pure se i piloti americani utilizzano un avanzato sistema
di puntamento che avrebbe dovuto garantire l’accuratezza dello sgancio, i
pianificatori non tengono conto che i raggi di caduta delle bombe sono compresi
tra i 300 e i 700 metri dall’obiettivo: è evidente che in una città di piccole
dimensioni, come Capua, tutto ciò avrebbe provocato danni incalcolabili. Quindi,
un altro “bombardamento di precisione”, che avrebbe dovuto colpire obiettivi
specifici, si trasforma in un vero e proprio raid “terroristico”,
indipendentemente da ogni intenzione e da ogni pianificazione, mostrando similitudini
con quello devastante del 27 agosto su Caserta e con tanti altri attacchi che
saranno portati sul casertano tra settembre e ottobre 1943, provocando
centinaia di vittime civili e gravi distruzioni al patrimonio abitativo e monumentale
e “garantendo” alla provincia di essere annoverata, suo malgrado, tra quelle
più danneggiate dalla guerra.
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di Giuseppe Angelone, docente di Cinema, Fotografia
e
Televisione presso la Seconda Università di Napoli