15 giugno 2011

Lavoro Minorile: Save the Children, ancora troppi i minori vittime di sfruttamento lavorativo nel mondo e in Italia .

Povertà sempre più diffusa a causa della crisi economica e dell’aumento dei prezzi del cibo, mancata scolarizzazione e contesti socio economici a rischio: ecco le cause che continuano ad essere alla base della difficoltà di abbattere il numero di bambini coinvolti e sfruttati nel fenomeno del lavoro minorile in tutto il mondo. Alla vigilia della Giornata Mondiale contro lo Sfruttamento del Lavoro Minorile, Save the Children vuole puntare i riflettori sui 115 milioni i bambini coinvolti in lavori rischiosi nel mondo. Il fenomeno riguarda nella maggioranza dei casi gli adolescenti, con la fascia d’età tra i 15 e i 17, ma sono tanti anche i bambini piccoli, a partire da 5 anni, che fanno parte delle schiere di minori che lavorano. Quasi un terzo del totale  sono bambine. La maggior parte di coloro che compiono lavori pericolosi lo fa nell’ambito agricolo (59%), seguito da quello dei servizi (30%, prevalentemente come domestici o per strada) e dall’industria (11%). Benché la maggioranza di essi si concentri in Asia, coloro che compiono lavori più rischiosi vivono per la maggior parte nell’Africa sub sahariana. “Dai bambini che lavorano nei campi, esposti a pesticidi e fertilizzanti nocivi, a quelli che ogni giorno scendono nelle miniere o lavorano nell’edilizia senza le adeguate condizioni di sicurezza, a coloro che vivono come domestici presso altre famiglie, esposti al rischio di abuso, perché devono ripagare un debito contratto dalla propria, o ancora alle vittime di tratta e sfruttamento sessuale: dobbiamo dare voce a questo esercito silenzioso di piccoli lavoratori e soprattutto dar loro un futuro”, afferma Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children in Italia. “È necessario rispettare gli standard internazionali sulle peggiori forme di sfruttamento del lavoro minorile. Possiamo intervenire con incisive politiche e azioni di riduzione della povertà, cercando di assicurare adeguata protezione alle vittime di sfruttamento lavorativo, garantire ai minori costretti a lavorare accesso ad un’educazione flessibile e gratuita che permetta loro di affrancarsi dalla condizione di sfruttamento e di costruirsi un futuro.” Save the Children lavora in tutto il mondo per combattere lo sfruttamento lavorativo dei minori e rimuovere le cause dello stesso attraverso, ad esempio, programmi di educazione informale per bambini lavoratori boliviani e i ragazzi di strada haitiani, rafforzando i meccanismi di protezione dei bambini e prevenendo la tratta nell’area di confine tra Costa d’Avorio, Burkina Faso e Mali, supportando le famiglie in modo che non siano costrette a mandare i bambini a lavorare nelle zone rurali del Pakistan, o ancora proteggendo i bambini sfruttati come domestici o nelle piantagioni di cotone in India e infine affrancando dalla loro condizione gli ex bambini soldato in Uganda o nella Repubblica Democratica del Congo.
Fenomeno sommerso in Italia
“Il lavoro minorile in Italia è invisibile o trascurato nelle statistiche ufficiali,  ma è ben visibile sulle strade delle nostre città”, dichiara Raffaela Milano, Direttore dei programmi Italia - Europa di Save the Children. Benché le rilevazioni ufficiali si fermino al 2002[1], le ultime stime disponibili parlano di circa 500.000 minori coinvolti nel nostro paese in attività lavorative di vario tipo[2]”. Un grande bacino di reclutamento, secondo l’organizzazione, è senz’altro rappresentato dai minori stranieri che arrivano da soli in Italia, spesso dopo aver contratto un debito pesante con i trafficanti. Si tratta di minori facili vittime di circuiti di sfruttamento lavorativo, sessuale, nell’ambito della criminalità.  Il fenomeno dello sfruttamento sul lavoro dei minori non è tuttavia limitato ai minori di origine straniera. Le ricerche condotte fanno rilevare anche la presenza di numerosi minori di origine italiana, in particolare nel sud Italia ma non solo. Alti fattori di rischio riguardano minori maschi, che vivono in una famiglia mono-genitoriale o in un nucleo familiare con più minori, e risiedono in un territorio con un alto tasso di disoccupazione, appartenenti a famiglie monoreddito o con un reddito inferiore al 50% della media nazionale.[3] Sono circa 1.000 i minori in Italia identificati come vittime di tratta  fra il 2000 e il 2008, e si stima inoltre un ampio numero di minori coinvolti in lavori dannosi. “Non possiamo assuefarci all’idea che vi siano bambini sfruttati lavorativamente e che debbano per questo rinunciare a loro diritti fondamentali come quello di andare a scuola e giocare”, conclude Raffaela Milano. Save the Children sollecita all’Italia una precisa assunzione di responsabilità su questo problema, attraverso l’adozione di un piano d’azione per monitorare e combattere il fenomeno, secondo quanto previsto dalla Convenzione Ilo 182 contro le peggiori forme di sfruttamento del lavoro minorile.
Save the Children chiede di:
·         attivare, presso ogni Prefettura, Comitati di contrasto allo sfruttamento sul lavoro dei minori, che – al pari dei Comitati per l’ordine pubblico e la sicurezza – abbiamo l’obiettivo di coordinare e rafforzare l’intervento di contrasto tra tutti gli attori coinvolti (forze dell’ordine, ispettorato del lavoro, asl, organizzazioni sindacali, etc.)
·         potenziare i  sistemi di protezione per le vittime e per i minori a rischio, garantendo un sostegno continuativo all’avvio di percorsi flessibili di reinserimento scolastico, di formazione e di lavoro. Su questo ultimo aspetto, è necessaria una assunzione di responsabilità anche da parte del mondo dell’impresa per  mettere a disposizione dei minori in particolari condizioni di rischio percorsi di inserimento lavorativo “puliti” (apprendistato, borse lavoro,..)
·         realizzare una nuova indagine nazionale sul fenomeno del lavoro minorile in Italia, che avvenga coinvolgendo tutti gli attori territoriali, tra cui le organizzazioni non profit e le organizzazioni sindacali, e che dia voce agli stessi minori coinvolti

Alcune storie
R. lavora in un laboratorio di sartoria  da settembre 2010. Ha 17 anni e vive in una casa famiglia e lavora nella sartoria dalle 9:00 alle 19:00, con una pausa pranzo di 30 minuti. Per raggiungere il posto di lavoro impiega 2 ore, deve attraversare tutta la città, pertanto esce di casa alle 7:00 e rientra a casa alle 21:00. È partito dall’Afghanistan quando aveva dieci anni, e adesso è stanco. Stanco perché lavora più di dieci ore al giorno, tutti i giorni, esclusa la domenica, per 600 euro al mese, anche se fino a due mesi fa erano 400.  Durante un convegno internazionale, un paio di domeniche fa, ha fatto una domanda in inglese rivolta alle 150 persone che aveva davanti: “Un ragazzo come me, adesso, da qui, che può fare?”. E’ stato riconosciuto rifugiato e vuole trovare un modo per ricominciare a studiare.
H. ha 16 anni è egiziano, con la promessa di un brillante futuro alcune persone hanno proposto ai suoi genitori di mandarlo in Italia. È sbarcato sulle coste siciliane di notte e, subito dopo, è stato portato e rinchiuso in un casolare insieme ad altri connazionali. Ha dovuto telefonare a casa e chiedere ai genitori altri soldi per il viaggio. H. insieme ad altri ragazzi, in piccoli gruppi, sono stati portati in 3 grandi città: Roma, Milano e Torino. Arrivato a Milano H. è stato costretto a vivere in un piccolo appartamento con altri connazionali. Dormivano in 5 in una stanza. Lavorava di notte al mercato ortofrutticolo guadagnando tra i 20 e gli 80 centesimi a bancale, a secondo che il suo datore di lavoro fosse un connazionale o un italiano. Per entrare al mercato era costretto a scavalcare i cancelli, rischiando di farsi male. Durante il giorno restava chiuso in casa. Un giorno è riuscito a scappare di casa e per strada ha incontrato un operatore di Save the Children, egiziano come lui, a cui ha raccontato, piangendo, la sua storia. Ora H. vive in una comunità per minori, ha un permesso di soggiorno e studia per prendere il diploma di terza media.
I. è nigeriano, ha 17 anni ed è appena arrivato in Italia dalla Libia, in seguito ad un viaggio in mare durato 5 giorni, insieme ad altre 500 persone. I. si trovava in Libia per lavorare e mantenere la madre e la sorella più piccola rimaste in Nigeria. Da 2 anni lavorava come muratore. Ha un unico pensiero fisso e un’unica frase che continua a ripetere: “devo lavorare”. È pronto ad accettare qualunque tipo di lavoro in Italia, a qualunque condizione: deve continuare a provvedere al sostentamento della madre e della sorella.
M. ha 16 anni ed è originario del Bangladesh, gli operatori di Save the Children lo incontrano per strada mentre è al semaforo e offre agli automobilisti di lavare il parabrezza. M. racconta agli operatori di Save the Children di essere fuggito dalla comunità per minori,  in cui era stato portato dalle Forze dell’Ordine, perché non si trovava bene. Racconta gli era stata data la possibilità di lavorare presso l’autofficina di un amico del responsabile della comunità, ma guadagnava pochissimo per molte ore di lavoro: lavorava anche 10 ore al giorno e veniva pagato saltuariamente poche decine di euro. Aveva la sensazione che non tutto lo stipendio arrivasse a lui. M. non vuole più tornare in comunità: preferisce stare con i suoi connazionali e tenere per sé i guadagni di una dura giornata di lavoro.

Sono disponibili anche foto di minori lavoratori in Italia e all’estero.
Per  ulteriori informazioni:  Ufficio Stampa Save the Children Italia
06.48070071-001-23-81press@savethechildren.it, www.savethechildren.it