09 agosto 2012

I tagli mascherati da spending review sono una scelta che va contrastata con forza attraverso la mobilitazione dei lavoratori pubblici e tutte quelle forme di pressione che un sindacato responsabile può mettere in atto.

Selezionare i servizi, eliminare gli sprechi: è da qui che si doveva partire. Proprio perché siamo una federazione che aggrega e organizza i lavoratori dei servizi pubblici, non ci spaventa l’idea di assumerci delle responsabilità nell’interesse della cosa pubblica. Parimenti, siamo consapevoli che in altri paesi per il lavoro pubblico la situazione è peggiore che da noi. Ma proprio perché abbiamo accresciuto, nella crisi e nel confronto con i lavoratori privati e pubblici della nostra e di altre nazioni, la consapevolezza di quello che serve e del ruolo che il lavoro pubblico e i sindacati che li aggregano possono svolgere, possiamo ben vedere quali siano i limiti di interventi come quelli che ci vengono proposti. Abbiamo per esempio molto forte la convinzione che sia sbagliato procedere a tagli di settori e di posti di lavoro senza una verifica di quali siano gli obiettivi che si vogliono privilegiare nell’erogazione e nell’organizzazione dei servizi ai cittadini e alle imprese. Come molto forte è la convinzione che manca una verifica articolata, territorio per territorio, sulle possibilità di eliminare gli sprechi e razionalizzare le amministrazioni. Per questo critichiamo l’incoerenza fra la modalità di riduzione delle dotazioni organiche imposta dal decreto e quello che noi consideriamo l’unico approccio corretto e funzionale, ovvero la rideterminazione del personale calibrata sull’analisi dei fabbisogni delle amministrazioni, cioè sugli atti e le attività da svolgere in relazione alle competenze istituzionali degli enti. Il nostro compito è quello di trasformare una politica di tagli in una politica di riorganizzazione, presidiando tutti i luoghi e i momenti della decisione politica ed organizzativa L’assenza di un confronto con le parti sociali ha del resto impedito nei fatti una corretta e approfondita valutazione rispetto alla capacità delle amministrazioni di mantenere, dopo reiterate riduzioni degli organici tramite blocco del turn‐over, almeno gli standard minimi di funzionamento. Manca una revisione/riarticolazione delle funzioni e dei compiti delle amministrazioni e manca una valutazione sull’effettivo impatto delle misure, che sarebbe stato opportuno non da ultimo per escludere il rischio paradossale di un incremento di spesa a seguito proprio dei tagli lineari. A meno di non voler dare per scontato il rischio che i risparmi attesi siano inesorabilmente vanificati da aumenti dell’esborso per l’acquisto sul mercato dei servizi che l’amministrazione stessa è tenuta ma non è più in grado di produrre, e dunque alla moltiplicazione di appalti, esternalizzazioni, incarichi di consulenza… Occorre una decisione sugli obiettivi rispetto ai servizi ai cittadini e alle imprese. Così come è indispensabile una verifica articolata, territorio per territorio, sulle possibilità di eliminare gli sprechi e razionalizzare le amministrazioni.  Produttività e partecipazione: il 3 maggio abbiamo segnato la strada. Ma il governo? Sappiamo che per molti aspetti siamo quasi fuori termine massimo, e che paghiamo alla necessaria urgenza delle misure lo scotto di un disegno di fredda razionalizzazione dall’alto degli assetti istituzionali e amministrativi; come sappiamo che paghiamo lassismi ed errori colpevolmente adottati dalla politica per troppi anni passati. C’è chi dice che di questi errori e di questi lassismi il lavoro pubblico sia stato tra i primi beneficiari. Non siamo d’accordo: l’assenza di visione politica e di capacità gestionale non può essere imputata a chi lavora, tanto meno se deve farlo in un contesto male organizzato, poco produttivo e scarsamente valutato. Come Cisl, nel settore privato come in quello pubblico, abbiamo accettato la sfida di un modello contrattuale che avesse nel livello aziendale il proprio fulcro, anche superando il
forte ruolo di governo tradizionalmente esercitato dal contratto nazionale. Accettare questa
sfida significa porre il fattore lavoro a diretto contatto con le esigenze dell’organizzazione e
della produttività; significa rendere manifesti senza schermi i presupposti per la valutazione
degli apporti e per la premialità selettiva. Quello che non possiamo accettare, è che tutto questo si realizzi in assenza di qualsiasi confronto. Se produttività è una parola d’ordine l’altra, complementare e inscindibile, è partecipazione. Con il d.l. 78/2010 che ha bloccato la contrattazione e ha congelato i fondi del salario accessorio, e poi con l’art. 16 della legge 111/2011, si sono poste per noi le condizioni di un diverso ‘ambiente’ nel quale sviluppare e organizzare il lavoro e la partecipazione. Un ambiente fatto di lotta agli sprechi e di razionalizzazione organizzativa, per rendere visibili risparmi da utilizzare almeno in parte per remunerare il lavoro. Abbiamo accettato la sfida che eventuali incrementi del fondo derivassero da un risparmio ottenuto e certificato, e che questo si misurasse anche in una prospettiva di valutazione che fosse anche, prioritariamente, valutazione dell’organizzazione. L’intesa del 3 maggio intende dare consistenza a questo nuovo modello. Per questo denunciamo il fatto che quell’intesa non si sia ancora concretizzata in uno strumento normativo e organizzativo; e la manteniamo con tanto maggiore determinazione come punto di riferimento della nostra azione, e anche del nostro giudizio su questi provvedimenti di spending review. Sappiamo bene che il percorso di trasformazione di quell’Intesa in norme non è stato lineare come avevamo diritto di aspettarci, visto che è stata firmata da tutte le componenti datoriali pubbliche e sappiamo anche che l’aver trasformato un percorso lineare in uno frammentato può rischiare di snaturare qualche impegno preso nell’Intesa. Ma nei giorni scorsi abbiamo sentito troppe voci di ambiente sindacale che di fronte alle difficoltà quasi delegittimavano quell’Intesa. Non è questo il nostro costume: le Intese e gli accordi che noi firmiamo sono per noi obblighi da rispettare ma anche crediti da esigere dalle controparti; e se il percorso si complica non abbandoniamo il campo con sterili proteste, ma rafforziamo in modo diffuso nel territorio e nelle amministrazioni la nostra presenza e il confronto quotidiano con i lavoratori e i cittadini. Le ragioni della nostra mobilitazione poggiano, infatti, su due convincimenti basilari: Il ruolo chiave del lavoro pubblico per garantire effettivamente, pur in regime di contenimento della spesa, l’invarianza dei servizi e la crescita dell’economia; La necessità che questo equilibrio virtuoso si ricerchi attraverso alleanze sociali e professionali che rompano gli schieramenti tradizionali, e creino le condizioni per un’intesa tra persone e organizzazioni impegnate nei servizi e nell’economia reale. Duplice è la consapevolezza che guida la nostra azione. Da un lato, che è impossibile
continuare a finanziare il welfare aumentando il debito; dall’altro, che la crescita illusoria ottenuta con gli strumenti della finanza “creativa” deve cedere il passo alla più stabile crescita dell’economia reale. Entrambi questi orientamenti richiedono un ruolo da protagonista per il lavoro pubblico: nel primo caso, per scovare e combattere ogni spreco ed
ogni clientelismo, in modo da permettere una riduzione della spesa ma anche un suo utilizzo
più produttivo; nel secondo, per assecondare politiche di ammodernamento e snellimento reale delle strutture pubbliche e delle loro modalità di funzionamento, affinché facciano da volano e non da freno nei confronti del settore industriale del paese.

Comunicato CISL-FP