11 giugno 2012

GRECI, EBREI E UNGHERI A S. MARIA LA FOSSA (XII – XVI SEC.)



CAPUA. Venerdì 8 giugno 2012 presso il Salone Capecelatro ex Seminario Diocesano di Capua è stato presentato il libro “I più antichi documenti di S. Maria la Fossa – Greci ed Ebrei (XII – XVI sec.). All’inaugurazione del libro erano presenti S.E. il vescovo Bruno Schettino, il Sindaco del Comune di Santa Maria La Fossa, Dr. Antonio Papa e l’addetto stampa comunale, Avv. Antonio Gaudiano, oltre ad un pubblico molto folto e numerosi giornalisti.   L’opera è stata redatta dal professore Giancarlo Bova, storico di fama mondiale, che si occupa  della civiltà di Terra di Lavoro tra Antichità e Medioevo. Le pergamene relative a S. Maria la Fossa, presentate in questo volume, sono in tutto sessantasette, di cui due precetti di Giordano II (uno è in transunto), un mandato di Giovanna II, una concessione dell’arcivescovo Stefano (in notizia), una procura dell’abate Taddeo (in transunto). Gli altri documenti sono tutti di natura privata: vendite, concessioni, conferme, permute, donazioni pro anima, testamenti e contratti di divisione. L’arco di tempo indagato è molto ampio ed è compreso tra il 1121 e il 1516. Attraverso lo studio degli atti giuridici è possibile vedere molto bene l’evoluzione del centro medievale, denominato dapprima locus S. Marie que dicitur alla Fossa, chiamato poi villa S. Marie ad Fossam pertinenciarum Capue. Si tratta di un villaggio lungo il fiume Volturno, dove i mercanti provenienti da Castelvolturno si fermavano con le loro imbarcazioni nel porto Femirarum o Mulierum per vendere le loro merci, all’ombra della chiesa dedicata alla Vergine Assunta (X – XIII sec.), che rappresentava un asilo di pace per quegli uomini affaticati e per tutti gli abitanti. Attraverso questo libro il professor Bova restituisce al culto dei fedeli di S. Maria la Fossa il meraviglioso affresco della Madonna del Rosario tra i Santi Filippo e Giacomo (XIII sec.) la cui devozione ha visto affollare per otto secoli la stupenda chiesa parrocchiale di Maria SS. Assunta in Cielo (X – XIII sec.). L’Autore presenta in maniera così viva la complessa documentazione relativa al centro, che al lettore sembra quasi di essere presente alle aste pubbliche del tempo e di trovarsi al cospetto ell’arcivescovo Stefano o della badessa Galgana o anche dei giudici riuniti in platea indicum a Capua, mentre concedevano le terre agli abitanti della località, tra cui si ricorda una terra del giudice Pietro de Vinea. Interessanti le notizie sui servizi personali che i fittavoli di alcune terre dovevano prestare alla badessa del monastero di S. Giovanni delle Monache. Altrettanto importanti i riferimenti circa la presenza di numerosi greci nella zona, oltre a quella degli ebrei, tra cui vengono ricordati i fratelli Filippo e Pietro cognomine Medici, figli del fu Pietro eiusdem cognominis, abitanti a Capua (1196), i quali risultano concessionari di una villa rustica a S. Maria la Fossa e sono citati anche come Pietro cognomine Ebreus, fratello dell’arciprete Filippo Medico. L’Autore, che per primo ha studiato i formulari e i sigma dei notai e giudici capuani, identifica il signum del notaio Petrus Medicus, che potrebbero essere degli avi di Lorenzo il Magnifico di Firenze, ma questo è ancora in fase di accertamento. Certa la presenza nel territorio della famiglia Cavalcanti di Firenze e non manca la notizia di un’incursione di Ungheri (1349). Ai primi del ‘500 abitava nei paraggi anche un fratello di Ludovico de Abenavolo, l’eroe della disfida di Barletta. Sessantasette pergamene, dunque, per restituire una storia a S. Maria la Fossa, per conoscere usi, costumi, abitudini e vita di una popolazione, che con rispetto e ammirazione si preannuncia molto laboriosa. Pare che la dicitura ‘fossa’ sia un chiaro riferimento al fatto che il paesino fosse situato nei pressi del fiume Volturno e che il termine indichi il canale di smaltimento dell’acqua nelle terre paludose. E’ proprio grazie al corso fluviale il borgo medievale ha acquisito un’impronta commerciale, dato che la navigazione del corso d’acqua permetteva di trasportare facilmente merci da commerciare. Merci che venivano poi dislocate presso la località ‘Porto delle Femmine’, un punto di attracco, esistente ancora oggi, dove si recavano le donne per acquistare i prodotti e prelevare l’acqua del fiume. Ma le attività dei fossatari non si fermavano solo al commercio e alla pesca, ma riguardano anche altri settori come la caccia e l’allevamento di animali da cortile e di suini, ciò è testimoniato dalla presenza nella chiesa di “Maria SS. Assunta in Cielo” di un affresco che raffigura Sant’Antonio Abate, protettore degli animali. Sicuramente era anche praticato l’allevamento della bufala, che ancora oggi rappresenta un’importantissima risorsa per l’economia locale. Un bellissimo ed illuminante volume, quindi, fortemente voluto dal primo cittadino, Dottor Antonio Papa, che ha deciso e scelto di investire sulla cultura, infatti egli dice: “investire nella cultura è necessario, tenere memoria del nostro passato è indispensabile”.

Tilde Maisto