08 novembre 2008

Intervista a monsignor Romano Penna, grande biblista e tra i massimi conoscitori dell’ “apostolo delle genti” e della sua opera.



Dal 29 giugno 2008 è in corso l’anno Paolino con manifestazioni, conferenze, convegni, e celebrazioni liturgiche che si succedono in tutte le Chiese del mondo per ricordare i 2000 anni della nascita dell’apostolo San Paolo, il più grande missionario di tutti i tempi.
A Roma, abbiamo incontrato monsignor Romano Penna,
ritenuto uno dei massimi esperti della vita e delle opere di Paolo di Tarso. All’apostolo delle genti ha dedicato la sua vita di ricercatore, di docente universitario, pubblicando vari libri che si distinguono per rigorosità scientifica ed esposizione appassionata, resa con un linguaggio accattivante e moderno. Fondamentali le sue esegesi alle varie “Lettere” dell’apostolo, in particolare i tre poderosi volumi sulla “ Lettera ai Romani”, e il suo bellissimo saggio “Il DNA del Cristianesimo”. Per i suoi 70 anni, i più insigni biblisti del mondo hanno collaborato insieme alla stesura di un volume di 500 pagine che si intitola : “Nuovo Testamento: teologie in dialogo culturale. Scritti in onore di Romano Penna nel suo 70° compleanno”.
Professore, si conosce l’anno esatto della nascita di San Paolo?
No. L’anno Paolino che stiamo celebrando è fondato su una ipotesi tradizionale secondo la quale Paolo sarebbe nato intorno all’8 dopo Cristo. Ma si tratta solo di ipotesi. Del resto non si conosce con precisione neppure la nascita di Cristo. Secondo me, Paolo era coetaneo di Gesù.
Dove nacque?
A Tarso, capitale della Cilicia, da genitori ebrei di osservanza farisea. Gli “Atti degli Apostoli” lo qualificano come cittadino romano, e lui dice che lo era dalla nascita. Per questo, accanto al nome giudaico di Saulo aveva anche il nome romano di Paolo.
Apparteneva a una famiglia ricca?
In una sua lettera, dice che si guadagnava da vivere facendo il costruttore di tende. In genere, a quel tempo, i figli apprendevano una professione dal padre e si desume che il papà di Paolo facesse quel lavoro. Si trattava di un mestiere normale, del popolo, che permetteva di vivere e di mantenere la famiglia, niente di più.
Che tipo di educazione ricevette in famiglia?
I genitori di Paolo erano ebrei della diaspora, cioè ebrei che, costretti dalle persecuzioni o per altra ragioni, erano emigrati lontani dalla loro terra, ma restavano fedeli alle loro tradizioni. Paolo era circonciso, fu educato e istruito nell'osservanza della legge mosaica. Ma essendo Tarso una città “cosmopolita”, quando usciva di casa, il ragazzo respirava un’atmosfera ellenica e aperta a varie culture. In famiglia, parlava l’ebraico e l’aramaico, ma fuori casa il greco. Crebbe quindi con una mentalità aperta. Almeno fino ai 12-13 anni.
E dopo?
A quell’età si trasferì a Gerusalemme per dedicarsi totalmente allo studio della Torah, sotto la guida del rabbino Gamaliele il vecchio, celeberrimo rabbino. Da quel momento, il suo interesse intellettuale riguardò solo ed esclusivamente la Legge ebraica e la cultura israelitica.
Negli scritti di Paolo, o dei suoi contemporanei, si trovano accenni e dati utili per farci capire quale fosse il suo aspetto fisico?
Abbiamo una descrizione fisica di Paolo, spesso citata. Dice che era basso, grasso, con le gambe arcuate, con le sopraciglia unite, e che tuttavia assomigliava a un angelo. Ma è tardiva, della fine del secondo secolo. L’iconografia tradizionale lo presenta con la barba, calvo, ma questo dipende da un modulo che si era imposto dopo il terzo secolo e che connotava la figura del filosofo. Nella seconda Lettera ai Corinti, Paolo dice di “non saper parlare” e qualcuno ha ipotizzato che fosse balbuziente. Nella Lettera ai Galati dice: “Voi eravate pronti a darmi gli occhi”, e qualcuno ha pensato che avesse problemi alla vista. Io ritengo che siano frasi da intendere solo in senso metaforico. Sappiamo che nella sua vita affrontò innumerevoli difficoltà: veglie, digiuni, freddo, tre naufragi, migliaia di chilometri percorsi a piedi, fu lapidato, cinque volte flagellato dagli ebrei, tre volte vergato dai romani, imprigionato per lunghi periodi: e da tutto questo si deduce che aveva un fisico eccezionale, una volontà di ferro e una capacità di adattamento straordinaria.
Dalle sue Lettere è possibile desumere il suo temperamento?
Il fatto che prima dell’evento di Damasco abbia esercitato una accanita pressione persecutoria nei confronti della comunità cristiana, la dice lunga sul suo temperamento focoso. Egli si era reso conto che la figura del Cristo poteva mettere in crisi alcuni dati costitutivi del giudaismo, e quindi perseguitava in modo forte e duro i cristiani. Si potrebbe paragonarlo a un “talebano” del tempo. Ma poi, dopo Damasco, ci fu il grande cambiamento. Continuò ad avere un carattere forte, che poteva esprimersi con toni molto rudi, duri, ma insieme spesso con toni molto affettuosi, dolci, gentili, quasi femminili. Lui stesso si paragona a un padre e anche a una madre. La sua è una psicologia complessa, sfaccettata, molto ricca. Nella “Lettera ai romani” dice chiaramente che bisogna accogliere tutti, andare d’accordo con tutti, accettare anche quelli che la pensano diversamente: C’è un irenismo, un senso di accoglienza, di reciprocità, che è veramente evangelico.
Dopo la conversione sulla via di Damasco che fece?
Trascorse tre anni nel deserto a meditare, poi fu a Gerusalemme a conoscere gli apostoli e la comunità cristiana, poi ad Antiochia, dove finalmente ricevette l’incarico ufficiale di andare a diffondere il Vangelo. Antiochia di Siria, fu una città importantissima per la storia del cristianesimo perché in quella città per la prima volta il Vangelo fu annunciato ai pagani. Gesù non ha mai predicato ai pagani, ma solo agli ebrei. E neanche gli apostoli all’inizio. Lì, ad Antiochia, si verificò la svolta. E di lì Paolo partì per il suo primo viaggio apostolico.
Ho letto che, durante quel primo viaggio litigò, se non sbaglio, con gli altri apostoli.
Ci furono delle divergenze. Paolo aveva una personalità molto forte. E da Gesù stesso gli era stata affidata una missione speciale, quella di portare il Vangelo ai pagani. Era un progetto impensabile per gli ebrei del tempo. E anche per gli apostoli. Ritenevano che Gesù fosse venuto per il popolo d’Israele. Mentre Paolo voleva predicare ai Pagani.
Inoltre, Paolo si trovava in una posizione delicata. I cristiani lo guardavano con diffidenza, ricordando con quale accanimento erano stati da lui perseguitati, gli ebrei lo consideravano un traditore, che aveva abbandonato la religione dei padri. Faticò molto a far accettare ai primitivi cristiani le sue idee. Soprattutto la sua convinzione che Cristo era venuto non per gli ebrei ma per tutti. E che i pagani, per essere seguaci di Cristo non dovevano sottoporsi a tutte le disposizioni della legge mosaica. Anche tra gli apostoli non tutti condividevano le sue idee. E lui si arrabbiava, e li chiamava “falsi fratelli”. Ebbe scontri anche con San Pietro che, in un primo momento aveva aderito alle idee di Paolo, ma poi aveva fatto un volta faccia e Paolo lo rimproverò pubblicamente.
Comunque, egli continuò a credere nelle intuizioni che aveva avuto durante il misterioso incontro con Cristo sulla via di Damasco. Sentiva fortissima dentro di sé l’urgenza di evangelizzare i pagani. Dopo il primo viaggio, ne intraprese altri due, fondando molte chiese, Alla fine tutti gli apostoli aderirono alle sue intuizioni, convincendosi che Gesù era venuto per la salvezza di tutti gli uomini e non solo per la salvezza degli ebrei.
Quali sono i punti fondamentali dell’insegnamento di San Paolo?
Detto in termini essenziali, al cuore di Paolo e del paolinismo vi è la libertà dalla legge. Paolo insegna che ciò che conta nel mio rapporto con Dio, in prima battuta non è la morale, ma è la grazia di Dio stesso, in Gesù Cristo. Io divento giusto davanti a Dio non per ciò che faccio “io”, ma per ciò che Dio ha fatto per me in Gesù Cristo. E la fede è l’accettazione di questo dono di grazia che mi è offerto.
Questo insegnamento Paolino si contrappone alla concezione secondo cui sono “io” che costruisco la mia giustizia, la mia santità di fronte a Dio. La costruisco con la mia morale, il mio comportamento, la mia etica e l’osservanza dei comandamenti. Questa è una concezione abbastanza diffusa, che mette in prima posizione la morale. Ma, presa alla lettera, non è la posizione giusta. C’è una frase di Lutero, condivisibile, che spiega bene il concetto. “Non è che noi facendo le cose giuste diventiamo giusti. Ma se siamo giusti facciamo le cose giuste”. Il dato morale, operativo, dell’azione, quindi, è secondario rispetto alla dimensione di “essere”, che è precedente ed è fondamentale. “Essere in Cristo” e ricevere la benevolenza di Dio attraverso Gesù Cristo, prescinde dalla mia moralità. La quale, proprio perché io “vivo” “l’essere in Cristo”, sarà certamente in sintonia con questa meravigliosa realtà. E’ questa il punto costitutivo. E’ questo il dato luminoso del paolinismo.

Renzo Allegri
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Foto di Nicola Allegri
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