13 agosto 2014

‘Letteratitudini’ benché in pausa estiva, si concede una serata a teatro con lo spettacolo “Eneide – Ciascuno patisce la propria ombra”




Cancello ed Arnone (Matilde Maisto)  - Martedì  5 agosto u.s. componenti del gruppo di “Letteratitudini”, tra cui Laura Sciorio, Felicetta Montella, Matilde Maisto da Cancello ed Arnone e Raffaele Raimondo, Lella Esposito, Francesca Raimondo e Raffaele Petrillo da Grazzanise si sono dati appuntamento a Santa Maria Capua Vetere presso l’Anfiteatro campano per assistere allo spettacolo “Eneide – Ciascuno patisce la propria ombra” da Virgilio, Ovidio e Marlowe, con Viviana Altieri, Nadia Kibout, Giulia Innocenti, nella drammaturgia e la regia di Matteo Tarasco. Scene e luci a cura di Matteo Tarasco, costumi di Chiara Aversano. A fare da sfondo allo spettacolo la splendida cornice dell’Anfiteatro Campano di Santa Maria Capua Vetere, in affascinante conclusione della rassegna “Teatri di Pietra”. L’originale allestimento, presentato da Arte e Spettacolo Domovoj in collaborazione con Teatro Argot Studio e Dominio Pubblico, chiude, infatti, il ciclo di appuntamenti programmati nei suggestivi siti archeologici partenopei, per la rassegna Teatri di Pietra in Campania 2014, rete culturale per la valorizzazione dei teatri antichi e dei siti monumentali attraverso lo spettacolo dal vivo, ideata da CapuaAntica Festival  con la collaborazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici, sotto l’egida del Patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Regione Campania. Lo spettacolo inizia con una densa nuvola di fumo che traghetta il pubblico nell’opaco viaggio per l’Averno di Eneide – Ciascuno patisce la propria ombra. Nell’oscurità della nebbia spettrale appaiono tre figure sinuose, dalle linee morbide, i tratti femminili, vestite di lacrime di sangue essiccate in una ragnatela cremisi, che afferma la loro condanna al mondo dell’aldilà. Sono le tre anime guida dello spettacolo. Il  regista Matteo Tarasco, attraverso un dramma delle ambientazioni seducenti, i toni solenni, con scenografie e costumi semplici, prova a rievocare le sensazioni e le emozioni di un’epopea fantasmagorica. Riscopre i meandri più segreti che questa storia immortale offre, evidenziandone la figura del grande Enea, di cui, in questa nostra epoca priva di eroi, è rimasta l’ombra. Lo spettacolo racconta il mito di Enea, dalla caduta di Troia sino allo sbarco sulle coste italiche, attraverso la testimonianza delle donne che lo hanno incontrato, amato e rinnegato: la moglie Creusa, l’amante Didone, la Sibilla Cumana e la madre Venere. Travolgenti le tre donne sul palco: Creusa, detta Euridice nella tradizione più antica, era figlia di Priamo e di Ecuba, nonché sorella di Ettore, Paride, Laodice, Cassandra e Polissena.  In seguito, Creusa sposò il cugino Enea, figlio di Anchise, da cui ebbe un figlio, Ascanio, e forse una figlia, Etia. Creusa si smarrisce la notte della caduta di Troia. Enea riempì di richiami le strade per ricercare la moglie quando scorse il suo fantasma. L'eroe tacque per l'orrore, i capelli irti sul capo. Creusa parlò ribadendo che gli dèi avevano voluto che essa non seguisse il marito nei suoi viaggi ma fosse assunta in cielo per servire Cibele, la Grande Madre. In un estremo, toccante addio, l'ombra della donna ripone in Enea il suo amore per il figlioletto Ascanio. Enea protende gemendo le braccia per abbracciare il collo di Creusa, ma per tre volte egli stringe aria, e il fantasma si dissolve come un soffio di vento.
Didone, sotto l'influenza della sorella Anna e di Venere e Giunone, Didone si innamora di Enea giunto naufrago a Cartagine con il suo popolo (I e IV libro dell'Eneide). È a lei che l'eroe troiano racconta le vicende vissute a partire dalla fine di Troia). La Fama diffonde fino a Iarba, re dei Getuli, notizie del loro amore, che era stato consumato in una grotta; Iarba invoca suo padre Giove Ammone, perché fermi il "Paride effeminato" che insidia la regina, o piuttosto le sue mire su Cartagine. Tramite Mercurio, Giove impone la nuova partenza all'eroe troiano, che lascia Didone dopo un ultimo terribile incontro, in cui lei lo maledice e prevede eterna inimicizia tra i popoli (inimicizia che infatti porterà secondo Virgilio alle Guerre Puniche tra Roma e Cartagine). Poi, sviata Anna e la nutrice Barce con delle scuse, disperata si uccide con la stessa spada che Enea le aveva donato, gettandosi poi nel fuoco di una pira sacrificale. Enea incontrerà poi di nuovo la regina nell'Ade, nel bosco del pianto (VI libro), e manifesterà sincero dolore per la sua repentina fine, non meno, forse, che immutata incapacità di comprenderne e ricambiarne l'amore e la dedizione; ma l'ombra di Didone non lo guarderà neppure negli occhi e resterà gelida, rifugiandosi poi dal marito Sicheo, con cui si era ricongiunta nell'oltretomba (...coniunx ubi pristinus illi / respondet curis aequatque Sychaeus amorem). Il silenzio finale di Didone è, secondo Eliot, un riflesso del senso di impossibilità di amare dello stesso Enea, schiavo del fato.
Sibilla Cumana Il titolo di Sibilla Cumana era detenuto dalla somma sacerdotessa dell'oracolo di Apollo. Ella svolgeva la sua attività oracolare nei pressi del Lago d'Averno, in una caverna conosciuta come l'"Antro della Sibilla" dove la sacerdotessa, ispirata dalla divinità, trascriveva in esametri i suoi vaticini su foglie di palma le quali, alla fine della predizione, erano mischiate dai venti provenienti dalle cento aperture dell'antro, rendendo i vaticini "sibillini". La sua importanza era nel mondo italico pari a quella del celebre oracolo di Apollo di Delfi in Grecia. Tali Sibille erano giovani vergini che svolgevano attività mantica in uno stato di trance. Nel libro VI dell'Eneide, la Sibilla Cumana ha la doppia funzione di veggente e di guida di Enea nell'oltretomba e la presentazione dell'oracolo è accompagnata dal cupo ritratto dei luoghi in cui vive e che formano un tutt'uno a suggerire un'immagine di paura ma allo stesso tempo di mistero.
Per concludere, uno spettacolo bello, interessante e culturalmente edificante. Letteratitudini anche in questa uscita estiva ha mantenuto inalterati i suoi canoni culturali e sociali.
Matilde Maisto