19 dicembre 2012

CROCI E DELIZIE DEL MATRIMONIO IN ANNA KARENINA DI LEV TOLSTOJ



Brillante incontro di Letteratitudini giovedì 13 u.s., serata che è stata anche l’occasione giusta per l’immancabile scambio degli auguri natalizi. I soci molto gioviali, in un clima di estrema sobrietà ed amicizia hanno affrontato il tema trattato dalla relatrice di turno Matilde Maisto, con serietà e impegno, ma, come di consueto, in un’atmosfera di allegra convivialità. In questo incontro è stata affrontata la vicenda d’amore e d’adulterio di Anna Karenina, eroina del romanzo “Anna Karenina” di Lev Tolstoj. Parlando di tutte le eroine tragiche che hanno condiviso il destino fatale di Emma Bovary e di Anna Karenina, Virginia Woolf ha scritto che sono “le donne che hanno illuminato come fiaccole accese le opere di tutti i poeti fin dalla notte dei tempi”. Simboli di un moderno disagio borghese, queste due donne inquiete hanno vissuto in pieno la crisi dell’Ottocento, tradendo tutti i codici morali ottocenteschi e minando l’istituzione familiare per giungere infine sino al suicidio finale (l’una si avvelena con l’arsenico, l’altra finisce sotto le ruote di un treno). La storia di Anna Karenina è sicuramente nota, per cui qui di seguito la ricorderò brevemente, desiderando, invece, fare alcune considerazioni che sono nate spontanee nel corso della lettura di questo grandissimo romanzo. “Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo” , così inizia il romanzo, presentando la figura di Stepan Arkad’ic Oblonskij (“Stiva”), un ufficiale civile che ha tradito la moglie Dar’ja Aleksandrovna (“Dolly”). La vicenda di Stiva mostra la sua personalità passionale che sembra non poter essere repressa. Per questa ragione, Anna Karenina, la sorella sposata di Stiva, che vive a San Pietroburgo, viene chiamata da Stiva, per persuadere Dolly a non lasciarlo. Nel frattempo, un amico di infanzia di Stiva, un serio aristocratico che vive in una tenuta che gestisce lui steso, Konstantin Dmtric Levin, arriva a Mosca per chiedere la mano della sorella minore di Dolly, Kitty rifiuta, poiché aspetta una proposta di matrimonio dall’ufficiale dell’esercito Aleksej Kirillovic Vronskij. Ma Vronskij si infatua di Anna ed Anna, scossa dalla propria reazione alle attenzioni di Vronskij, ritorna immediatamente a San Pietroburgo, da suo marito Aleksei Aleksandrovic Karenin, un ufficiale governativo, e da suo figlio Sereza. Vronskij, perdutamente innamorato, la segue sullo stesso treno. A san Pietroburgo Anna cede alla propria passione per Vronskij ed ha così inizio l’idillio che finirà per tormentarla rovinosamente sino ad indurla al suicidio. Centro della vicenda è dunque, la tragica passione di Anna, sposata senza amore a un alto funzionario, per il brillante ma superficiale Vronskij. Parallelo a questo amore infelice è quello felice di Kitty per Levin, un personaggio scontroso e tormentato al quale Tolstoj ha fornito i propri tratti. Pubblicato nel 1877, il libro venne accolto in origine piuttosto freddamente e considerato alla stregua di una semplice storia d’amore, non ottenendo quindi grandi riconoscimenti ma solo critiche. Successivamente rivalutato, è oggi considerato uno dei capolavori dell’epoca. La mole non indifferente del romanzo può scoraggiare ma, in verità, merita tutto il tempo che si impiega per leggerlo! Anna, divisa tra ciò che reputa giusto e ciò che desidera, vive una vita perennemente in lotta con se stessa, sempre in bilico tra ciò che prova e ciò che le convenzioni le impongono. Romanzo introspettivo con descrizioni molto efficaci, è una storia avvincente che descrive sentimenti forti, dall’amore coniugale a quello materno, all’amore passionale e ancora ipocrisia, paura, attrazione e tanto altro. La bravura di Tolstoj nel far partecipare il lettore in prima persona ai sentimenti descritti, il grosso lavoro psicologico, il conflitto interiore della protagonista, lo rendono un romanzo estremamente interessante, a tratti quasi difficile da portare avanti per la sofferenza che trasuda dalle pagine. In effetti, abbraccia diversi temi e contenuti ricorrenti nella letteratura dei grandi classici come questo. Temi dell’amore senza regole, che infrange un vincolo sacro come il matrimonio; quello tra Anna e il marito Aleskey Aleskandrovich, il tema della morte, molto forte, e dell’amore fraterno disinteressato quello tra Dmitrich e il fratello konstantin, il tema dell’amore puro tra Dimitrich e Kitty; il tema della famiglia che traspare nella vicenda familiare di Dolly e Stiva (fratello di Anna) che tradisce la moglie e che viene perdonato pur di non stravolgere l’equilibrio nella famiglia. In realtà, Anna Karenina parla dell’unico reale problema dell’uomo. Oggi come due secoli fa. Come può perdurare l’amore? Tutto quello che occupa le nostre vite, dai problemi politici alle piccole incombenze di tutti i giorni, non è altro che una via molto lunga per capire come amare ed essere amati. Levin, Kitty, Vronkji, Anna, Dolly, Stiva stanno lì al nostro posto tentando di conciliare i desideri più profondi dell’uomo: la passione per la bellezza e l’aspirazione alla pace. Anna, con il suo animo tormentato, le sue paure e il rifiuto verso un mondo ipocrita che non riesce più ad accettare – portandola a compiere scelte drastiche – entra nel cuore del lettore per non uscirne più. Ma noi lettori dobbiamo opportunamente farci una domanda: è colpevole Anna? L’epigrafe apposta al romanzo sembra togliere ogni dubbio in proposito “A me la vendetta, e io renderò il dovuto” (Dt. 32,35). E’ Jahvè che parla per bocca di Mosè, contro i disprezzatori della Legge: là dove dice pure:
Poiché il loro vitigno è della vite di Sodoma,
e dai terrazzi di Gomorra:
la loro uva è uva di veleno,
i loro grappoli sono amari.
[…]
Al tempo stabilito il loro piede
comincerà a incespicare,
poiché il giorno della loro sciagura è vicino
e gli avvenimenti preparati per loro
si affrettano, invero.
Anna dunque è di questa stirpe, e non ha scampo: le sue sofferenze e il suo suicidio sono il castigo divino per l’adulterio che ha consumato con il giovane Vrònskij, abbandonando non soltanto il marito ma anche il figlio, e dando lungo scandalo nell’alta società pietroburghese – di cui prima della colpa, Anna era stata un fiore ammiratissimo. L’alta società, dal canto suo, ha punito Anna con il disprezzo e l’emarginazione, ma illegittimamente: poiché non tocca agli uomini punire, ma a Dio soltanto, a quel terribile Dio veterotestamentario che fa vendetta e retribuisce, e non conosce il perdono. Ma questo, in realtà, ci mostra un Tolstoj moralista, cupo e crudele, che resiste per centinaia di pagine alla tentazione di innamorarsi di quell’Anna dolcissima, bella, intelligente, appassionata che egli stesso va creando, fino al culmine quando egli finalmente distrugge la sua splendida creatura – offrendola in sacrificio, sulle rotaie, alla furia divina. “Avrebbe voluto sollevarsi, gettarsi da un lato; ma qualcosa di enorme, d’inesorabile, la urtò alla testa e la trascinò per la schiena. “Signore, perdonami tutto!” proferì, sentendo che era impossibile lottare”… (Parte settima, capitolo 31). Rabbrividisci, e pensi che non è giusto, per cui il lettore si sente automaticamente investito, dinanzi a tanta crudeltà divina, di insorgere contro l’autore e la sua epigrafe; di prendere le parti di Anna contro quel Dio feroce, e di difendere la colpa di lei, contro la Legge di Lui. “A me la vendetta…”: ma quale vendetta, per cosa? Anna, in fondo, non ha fatto altro che amare, apertamente e con coraggio; e ben più di lei meriterebbe semmai “vendetta” quell’ambiente bigotto, ipocrita e vizioso a cui lei si è ribellata e che le ha voltato le spalle (incapace di perdonarle non tanto l’adulterio, quanto piuttosto il suo coraggio, la sua sincerità, la forza della sua passione) – e innanzi a tutti il marito, lo spregevole Karénin che ricatta la povera Anna facendo leva sul figlio. Perché Tolstoj non massacrò anche Karénin? O Stepàn Arkàd’evic, e Betsy Tverskàja (entrambi colpevoli della stessa colpa di Anna, ma premuratisi sempre di evitare scandali?) Tuttavia Anna è palesemente una donna condannata: è un personaggio tragico, votato alla tragedia, malato d’angoscia, incline all’ossessione, ed è talmente ingombrante! Ingombrante come può esserlo un ribelle, un individuo cioè che non trova pace nel mondo consueto, e che di nessuno può essere compagno (persino Vrònskij a un certo punto ne è annoiato fino alla disperazione). La sua morte salva, rende tormentosamente bello tutto ciò che in lei sarebbe divenuto insopportabile se fosse vissuta più a lungo: il suo egoismo, il suo orgoglio, la sua malinconia, i suoi incubi, la pena che suscita la sua situazione. Sicché la “vendetta divina” finisce per apparire al lettore in un certo qual modo come provvidenziale e pacificante. Un capolavoro senza tempo. Intanto “Letteratitudini” prosegue a vele spiegate ed invita, sin d’ora, a partecipare al convegno letterario che si terrà in data 26 Gennaio 2013 con il Prof. Mario Damiano, filosofo e storico, che affronterà il tema seguente: “La questione Meridionale e la figura di Don Luigi Sturzo”.
A cura di Matilde Maisto