20 ottobre 2010

L'unità d'Italia celebra i 150 anni in un momento particolare in cui assistiamo allo scontro politico.


CAIAZZO. Mi chiedo da un pò di tempo se effettivamente vi sia mai stata una nazione unita o se essa sia tale solo in modo astratto. A rafforzare la tesi che, forse, abbiamo sempre vissuto in una nazione unita solo dalle reti di trasporto, è l'idea che l'unità d'Italia fu voluta ed ottenuta, soprattutto, da elites aristocratiche e borghesi che esclusero le masse contadine e cattoliche dal processo di unificazione; fu, cioè, un' unità un pò calata dall'alto, nata per uscire dalla crisi degli stati e staterelli che vivevano, al proprio interno, profonde lacerazioni e lotte di classe. Se a questo aggiungiamo che la realizzazione dell'unità d'italia portò all' imposizione del modello piemontese a tutta la penisola, a dare il diritto al voto solo a chi dimostrava un reddito minimo annuo (quindi eletti solo espressione di una elite), alla totale assenza di una lingua comune (solo il 2% parlava l'italiano), alla totale assenza di vie di comunicazione e di collegamento tra i vari ex stati, alla totale assenza di regole di mercato e scambio unitarie, ad acuire il già enorme divario tra nord e sud (brigantaggio), la bilancia non può che pendere verso una sorta di pseudo processo di unificazione che non fu mai avvertito dalla popolazione tanto che D'Azeglio pronunciò la ormai famosa frase "fatta l'italia, bisogna fare gli italiani". Ma, volendo tralasciare analisi storiche approfondite (per mancanza di tempo e titoli ....) preferirei andare avanti negli anni fino alla situazione attuale, per rimarcare il concetto che non vi sono, a mio modesto avviso, elementi che spostano l'asse della bilancia. Ho voluto perciò considerare alcuni esempi: analizzare la situazione attuale di vastissimi territori dell'alto adige, friuli e valle d'aosta che non si riconoscono nello stato italiano e dove la popolazione residente a stento pronuncia qualche parola in italiano (bilinguismo, etc); analizzare la complessa situazione delle leghe e dei movimenti pseudo secessionisti, nati nel profondo nord in questi ultimi trent'anni; analizzare il profondo dissenso delle popolazioni del nord-est nei confronti del sistema fiscale nazionale; analizzare la condizione di vasti territori della Sicilia e relative fette di popolazione che si considerano più una repubblica a parte che non parte integrante della nazione. Analizzare la situazione relativa alla popolazione sarda, che da sempre vede gli italiani del "continente" come divoratori di suolo, speculatori, in grado di minare l'ecosistema di una delle coste più belle d'italia. Da queste analisi, frutto di esprienze di vita vissuta, nasce l'idea che l'italia unita davvero esista solo nei racconti di De Amicis nel libro Cuore o sia oggi un vago ricordo di un limitato periodo storico in cui, occupati a ricostruire la vita sulle macerie della guerra, automaticamente scattava un sentimento di unità per superare la contingenza del tempo.
Credo, invece, che oggi siamo di fronte alla vera sfida che potrebbe negli anni consacrarci per davvero nazione unita nelle sue diversità, nelle sue tradizioni, nelle sue credenze popolari, nei suoi svariati dialetti: la sfida federalista. Dove il federalismo (e non la demagogica quanto stupida spinta secessionista) rappresenti la sintesi di tante diversità e incongruenze che andrebbero sanate attraverso una civile convivenza, basata su regole certe e su sistemi politico-amministrativi e finanziari più equi e più giusti, rispettosi della storia e delle tradizioni, inseriti in contesti che tengano ben presente la posizione geografica, il clima, le infrastrutture, i sistemi di collegamento reali; un federalismo che faccia i conti con le organizzazioni criminali ma che basi la sua azione sull'onestà della popolazione residente; un federalismo che dia la consapevolezza della grandissima potenzialità in termini di risorse umane, paesaggio, cultura e turismo presenti nel mezzogiorno; un federalismo condiviso e partecipato che sappia unire nel rispetto delle diversità e delle tradizioni e che possa essere la vera risposta al sempre più crescente processo di globalizzazione.


Antonio Di Sorbo
* Nella foto Antonio Di Sorbo