La
stessa Comunità Europea ha deliberato che la sicurezza, nel senso
appena detto, diversamente da come era stata intesa sino a poco tempo fa
ovvero un costo di sistema, costituisce elemento imprescindibile e
condizione irrinunciabile anche per lo sviluppo economico e quindi
volano di sviluppo per attrarre gli investimenti stranieri che, in
difetto di tale garanzia preferiscono mercati diversi.
Per
poter garantire livelli efficienti ed efficaci su questi settori la
storia del nostro Paese, e con essa quindi tutta la legislazione che si è
sviluppata negli anni, ha affermato in modo incontrovertibile che gli
operatori chiamati a svolgere queste delicate funzioni dello Stato (il
cosiddetto “cuore dello Stato” definito dal Presidente Monti) devono
rispondere a precisi, rigorosi e particolari requisiti sotto il profilo
morale, civile e psicofisico e attitudinale (non è un caso che non tutti
riescono a superare il concorso e le prove di efficienza per l’accesso
e la formazione a queste funzioni).
Ciò,
anche in relazione, essendo questo un ulteriore elemento di garanzia
sull’efficacia, sulla trasparente ed efficiente azione che lo Stato
esercita, stando attento a coniugare gli interessi generali con quelli
dei singoli individui, alla necessità che gli operatori per poter
attendere alle mission loro affidate, debbono utilizzare al massimo la
propria professionalità ed in alcuni casi riguardo ai compiti
istituzionali di tutela dell’ordine pubblico costretti a ricorrere
anche all’utilizzo della forza e, in estrema ratio, anche all’uso della
armi, oltre che a prestarsi, senza risparmiarsi, per la sicurezza
collettiva, sia durante che al di fuori dell’orario di lavoro, in quanto
destinatari di norme “specifiche” che ne impongono il servizio h24.
Rigore,
professionalità, prestanza fisica e soprattutto equilibrio, sono gli
elementi essenziali affinchè questi operatori possano conseguire gli
obiettivi che lo Stato gli richiede.
In
questa ottica anche lo status giuridico, di impiego e quello
previdenziale ha seguito uno sviluppo che, per quanto parallelo a tutti
gli altri lavoratori del pubblico impiego, è stato però sempre
caratterizzato da una sua specificità.
Specificità
che, anche in un momento di grave crisi economica che ha portato ad una
revisione dell’assetto complessivo della macchina pubblica attraverso
una sua razionalizzazione, ha trovato cittadinanza addirittura in una
precisa norma contenuta nella legge n. 183 del 4 novembre 2010.
L’articolo 19 della citata norma recita:
- Ai
fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei
contenuti del rapporto di impiego e della tutela economica,
pensionistica e previdenziale, è riconosciuta la specificità del
ruolo delle Forze Armate, delle Forze di Polizia e del Corpo
Nazionale dei Vigili del Fuoco, nonché dello stato giuridico del
personale ad essi appartenente, in dipendenza della peculiarità dei
compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previste da
leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle Istituzioni
democratiche e di difesa dell’ordine e della sicurezza interna ed
esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa
richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti.
- la
disciplina attuativa dei principi e degli indirizzi di cui al
comma 1 è definita con successivi provvedimenti legislativi, con i
quali si provvede altresì a stanziare le occorrenti risorse
finanziarie… omissis
In
sostanza la norma de quo statuisce che gli operatori di questi Comparti
e le rispettive Amministrazioni di riferimento, in relazione al
particolare status, devono essere valutati e considerati non solo
nell’ottica di quella che è la normale dinamica contrattuale e
previdenziale prevista per tutti i lavoratori; ad essi bisogna guardare
in relazione alle peculiari funzioni attribuite alle Amministrazioni di
appartenenza che, in assenza di operatori che siano selezionati e messi
in condizioni di operare con altrettante condizioni peculiari,
verrebbero vanificate e con esse le condizioni di tutela e di difesa
delle Istituzioni democratiche così come quelle dell’ordine e della
sicurezza interna ed esterna e del soccorso alle popolazioni. Va
precisato che a partire dal 1992 con la cosiddetta riforma Amato, che
già all’epoca ristrutturò il sistema previdenziale del nostro Paese per
renderlo compatibile sia allo stato sociale, che da sempre ha
accompagnato la nostra cultura, ma anche alle compatibilità economico
finanziarie che lo Stato doveva sostenere per garantire entrambi gli
interessi, e successivamente con la riforma Dini, il modello
previdenziale degli operatori di questi Comparti è stato falcidiato
annullando, di fatto, la specificità degli appartenenti pur
riconfermando quella delle Amministrazioni. Ulteriori
colpi che hanno oltremodo vanificato la specificità, si sono registrati
con l’emanazione della legge finanziaria n. 724/94 (cosiddetta
finanziaria Berlusconi), che ha ridotto il rendimento del modello
previdenziale di questo personale dal 3,60% annui al 2%. Con il decreto
legge 112/2008 (c.d. decreto Brunetta), si è avuto un ulteriore colpo
che ha definitivamente e quasi del tutto equiparato il rendimento della
pensione di questi professionisti della sicurezza a quelli del restante
pubblico impiego, fatta eccezione di alcuni istituti che però sono a
carico del lavoratore e non dell’erario che restano l’ultima chimera a
salvaguardia di una specificità che nel tempo si è manifestata sempre
più in modo negativo e contraddittorio .In
sostanza con l’applicazione del metodo contributivo, accompagnato con
il rendimento del 2%, anche agli operatori di questi Comparti, la
pensione non viene più determinata, a prescindere dall’età anagrafica
dell’operatore e per quanti anni egli la percepirà,
come avveniva in precedenza con il metodo retributivo, ma viene
calcolata sulla base degli accantonamenti che il lavoratore effettua,
rispetto alla retribuzione che percepisce nel corso dell’intera vita
lavorativa. Questo,
ancora una volta a danno della declamata specificità. Infatti, mentre
per tutti i lavoratori pubblici e privati sono state avviate da tempo
forme previdenziali complementari, finalizzate a coprire i gap sul
trattamento di pensione con l’introduzione del sistema contributivo (tra
quanto si è percepito in servizio e quanto invece si è maturato in
termini di pensione), per il personale del Comparto l’ipotesi di accordo
quadro, che dovrebbe definire le regole del “gioco”, appare ancora
lontana. Tutto ciò senza che siano mai state poste in essere formule per
tutelare, soprattutto, gli operatori assunti dopo il 1° gennaio 1996
che saranno i primi e più vessati destinatari del sistema contributivo. È
opportuno rammentare, come previsto dalla norma, che l’età anagrafica
individuata come limite ordinamentale rispetto al quale il lavoratore è
costretto al pensionamento, incide oggi in maniera sostanziosa sul
quantum della pensione. Infatti, con l’applicazione del sistema
contributivo, sono fondamentalmente due i parametri che determinano la
misura del trattamento di quiescenza spettante: l’ammontare dei
contributi versati e il relativo coefficiente di trasformazione, che
aumenta in ragione dell’età anagrafica in cui è obbligatorio il
collocamento in quiescenza.
Il
prodotto della moltiplicazione tra contributi versati e coefficienti di
trasformazione, suddiviso in funzione della speranza di vita fissata
dall’ISTAT, consente poi di determinare il rateo di pensione (maggiore
il tempo intercorrente tra l’età di cessazione dal servizio e il
raggiungimento della speranza di vita, più basso sarà il rateo di
pensione). Pertanto il limite anagrafico ordinamentale individuato per
la cessazione dal servizio, che funzionalmente le Amministrazioni hanno
necessità di mantenere basso, incide in maniera determinanti e
penalizzante sull’ammontare delle pensioni, in modo direttamente
proporzionale all’età di collocamento a riposo. In
concreto questo complesso meccanismo determina che prima si verifica
l’uscita del lavoratore, di conseguenza maggiore sarà il numero dei
ratei che dovrà percepire, più basso sarà il quantum che percepirà
mensilmente come pensione.Tutto
questo ci pone di fronte ad una questione che diventa centrale,
essenziale e imprescindibile da valutare nelle scelte che il Governo
deve operare per armonizzare il sistema previdenziale di questi Comparti
in funzione del precetto contenuto nel decreto “Salva Italia”. A
fronte di tutto ciò la proposta che i rappresentanti del ministero del
lavoro e dell’economia hanno indicato le nostre Amministrazioni, e che
queste ultime ci hanno rappresentato risulta essere quella che i
lavoratori chiamati ad assicurare la tutela delle istituzioni
democratiche, la difesa dell’ordine e della sicurezza interna ed
esterna, delle costantemente sovraffollate carceri italiane e il
soccorso pubblico, siano impiegati sino a 63 e 65 anni, mettendo anche
in discussione gli attuali meccanismi compensativi. Un’ipotesi
incredibile specie se messa a confronto con i paritetici operatori dei
Paesi stranieri.
Per
le Forze armate, tra l’altro, appare un’ipotesi in evidente contrasto
con la più volta declamata necessità del ministro della difesa di
accelerare l’esodo del personale con le stellette, oggi più anziano, per
dare attuazione alla revisione dello strumento militare in modo da
renderlo efficiente al passo con quello degli altri Paesi stranieri
In
presenza di una proposta come questa è evidente che il problema esula
da quello strettamente connesso con la parte previdenziale per assumere
un significato politico più ampio. Si
tratta difatti di individuare se il Governo e il Paese si possono
permettere operatori della sicurezza, della difesa e del soccorso
pubblico di 63 e 65 anni, con tutto quello che consegue in termini di
annullamento dell’efficienza del sistema che ciò comporterebbe per la
inevitabile deriva che ciò comporterebbe per la diminuzione della
prestanza fisica, psichica ed attitudinale, o se invece ritengono come
le scriventi OO.SS e Rappresentanze ma anche, a quanto risulta come
propongono le rispettive Amministrazioni – proprio in funzione delle
finalità che le Amministrazioni devono perseguire e la conseguente
specificità che deve continuare ad essere richiesta ai loro appartenenti
- non si debba individuare un sistema compensativo o di aumento della
base su cui si costruisce la pensione che consenta di mantenere
l’efficienza, l’efficacia dell’azione e della specificità degli
operatori.
Le
scriventi Organizzazioni e Rappresentanze, dando per scontata la
seconda opzione, osservano che fondamentalmente due sono i problemi da
risolvere: perseverare l’efficienza e la funzionalità dei Comparti
interessati, impedendone l’invecchiamento, e tutelare i rispettivi
operatori, rispettandone la dignità e evitando che la “specificità” che
ne determina una particolare usura, si trasformi, paradossalmente, in
una penalizzazione pensionistica, a causa dei limiti di età più bassi.
A
fronte di tutto ciò, molti sono i meccanismi ipotizzabili sul piano
ordinamentale e molti gli aspetti sui quali è urgente e imprescindibile
discutere. Perciò
queste Organizzazioni e Rappresentanze hanno chiesto e ottenuto, dopo
la manifestazione del 13 marzo scorso, un confronto aperto con i
ministri interessati evidenziando contestualmente l’urgenza di una legge
delega per il riordino del sistema e delle carriere ritenuto,
quest’ultimo, significativamente connesso al processo di armonizzazione
del regime pensionistico ma anche al mantenimento della funzionalità e
dell’efficienza dei Comparti.
In
conclusione, considerato che, negli incontri in sede tecnica tra le
varie Amministrazioni, risulta che sia il Dicastero del Lavoro sia e
soprattutto quello dell’Economia si siano mostrati inclini ad assimilare
tendenzialmente gli operatori della sicurezza, della difesa e del
soccorso pubblico alla generalità dei lavoratori, le scriventi
Organizzazioni e Rappresentanze dttengono a dire che tale approccio non è
assolutamente accettabile, a meno che l’omologazione non comporti anche
la parifica delle condizioni di impiego, dei rischi e delle
responsabilità e la rimozione degli obblighi, dei vincoli e delle
limitazioni che gravano sulle forze di polizia, sulle forze armate e sul
Corpo nazionale dei Vigili del fuoco. Nella
seconda ipotesi, è bene che si sappia, queste organizzazioni e
Rappresentanze rivendicherebbero gli stessi diritti considerati
inalienabili per gli altri lavoratori dipendenti quali ad esempio il
part-time, la flessibilità dell’orario di lavoro in orizzontale ed in
verticale, il diritto di sciopero (con astensione dal lavoro), il
diritto ad esercitare altre attività lavorative purché non in modo
preminente rispetto alla funzione di pubblico impiegato o in condizioni
di esclusività con lo stesso datore di lavoro, i pieni diritti di
associazione e libera manifestazione del pensiero per i militari e, non
ultimo, il venir meno dell’assoluta disponibilità al servizio per questi
operatori e della qualifica permanente di ufficiali ed agenti di
polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza, per la quale oggi gli
interessati vivono in regime di “libertà vigilata.”.Questo è il nodo politico per il quale gli operatori della sicurezza,
della difesa e del soccorso pubblico hanno manifestato e sul quale
chiedono una risposta incontrovertibile al Governo e alle Forze
Politiche di un Paese al quale dedicano quotidianamente ogni energia e
per il quale sono tenuti, per “contatto” ma soprattutto per intimo
convincimento, a sacrificare anche il bene supremo della vita.
POLIZIA DI STATO
|
SIULP
(Romano)
|
SAP
(Tanzi)
|
UGL-Polizia di Stato
(Mazzetti)
|
CONSAP
(Innocenzi)
|
POLIZIA PENITENZIARIA
|
SAPPE
(Capece)
|
UIL Penitenziari
(Sarno)
|
FNS-CISL
(Mannone)
|
UGL Penitenziaria
(Moretti)
|
CNPP
(Di Carlo)
|
CORPO FORESTALE DELLO STATO
|
SAPAF
(Moroni)
|
UGL-Forestale
(Scipio)
|
FNS - CISL
(Mannone)
|
(Rossi)
|
UIL CFS
(Violante)
|
SNF
(Laganà)
|
CORPO DEI VIGILI DEL FUOCO
|
FNS - CISL
(Mannone)
|
UIL VVF
(Lupo)
|
CONAPO
(Brizzi)
|
UGL - VVF.
(Cordella)
|