Spettabile Redazione, sono Tito Angelini, dottore forestale libero professionista in Piedimonte Matese e vorrei parlare, da professionista della materia, del taglio colturale del bosco a Bocca della Selva. Incidentalmente, sono il direttore dei lavori in oggetto, ma non è per difendere il mio operato che scrivo, non ho alcuna difesa d’ufficio da fare. Infatti, a ben guardare, si metterebbe in discussione la progettazione dei lavori, che non è stata opera mia, ma non è questo che mi interessa. Invece, scrivo soltanto perché, senza arrampicarmi sugli specchi, vorrei provare a fare chiarezza sull'intera vicenda, seguendo esclusivamente i dettami della scienza. Già, perché il bosco è studiato da un corpus di discipline scientifiche, le "Scienze Forestali", appunto, e credo che l'origine del gran chiasso mediatico che si sta facendo, sia proprio legata all'assoluta mancanza della, seppur minima, cognizione di causa. Parlando di boschi e di gestione dell’ambiente montano, lo scrivente, immodestamente, si ritiene esperto per aver conseguito una Laurea in Scienze Forestali, per essere iscritto ad un Albo Professionale specifico e per il fatto di svolgere, da oltre venti anni, e quotidianamente, una attività professionale nel settore della selvicoltura e dell'assestamento forestale, per la quale si vede rivolgere, appunto, richieste di pareri tecnico/scientifici in materia forestale. Circa le altre persone che stanno discettando sull’argomento, non ricordo di averne mai letto i nomi negli elenchi dei professionisti abilitati alla gestione del bosco e, pertanto, leggere le loro elucubrazioni in merito, mi colpisce alquanto. Credo sia doveroso, prima di criticare pubblicamente l'operato di altri, essere a conoscenza dell'argomento di cui si pretende di impartire lezioni e, soprattutto, è facile criticare e basta, ben più difficile è, invece, fornire indicazioni alternative, particolarmente se per farlo bisogna possedere competenze accademiche specifiche, che non si hanno e di cui si ignora addirittura l'esistenza. Per di più, la terminologia scientifica utilizzata senza averne padronanza fornisce l’esatta valutazione di chi la usa. Queste persone hanno mai sentito parlare di selvicoltura, dendrometria, assestamento forestale, tecnologia forestale? Sono tutte discipline scientifiche afferenti alle scienze forestali (e bisogna averle studiate all’Università). Oppure qualcuno è davvero convinto che ci siano in giro dei forsennati che, improvvisamente ed improvvidamente, non avendo di meglio da fare, si rechino in bosco ed inizino a tagliare alberi? La foresta (o bosco) mai interessata dall’attività umana, che esiste nella sua condizione originaria, come la cosiddetta “foresta primaria” (definita anche “foresta vergine), può rinnovarsi, crescere, invecchiare e morire da sola, perché l’altissimo numero di specie vegetali ed animali presenti, le interazioni che si stabiliscono tra le varie specie e tra esse e l’ambiente fisico che le ospita, ne garantisce uno stato di equilibrio relativamente stabile, grazie al forte potere di autoregolazione esistente. Questi processi di autoregolazione consentono all’ecosistema di opporsi a scompensi e a conservare nel tempo la propria stabilità strutturale e funzionale, a meno che non intervengano sensibili variazioni climatiche. Si parla, in proposito, di omeostasi, intesa come la tendenza all’equilibrio delle popolazioni animali e vegetali, come risultato di meccanismi dipendenti dalla densità e operanti sul tasso di natalità, sopravvivenza e morte (stabilità). Al contrario, nella foresta antropizzata (interessata dalla varie attività umane: pascolo; tagli, magari anche irrazionali), semplificata nella struttura e nella composizione, il numero di specie presenti è sensibilmente inferiore, così come, è ovvio, le relazioni instaurantesi tra loro; ne consegue una minore stabilità. La foresta antropizzata raramente può, in tempi brevi, rinnovarsi da sola, senza l’intervento dell’uomo. L’evoluzione naturale incontrollata, inizialmente, ridurrebbe le possibilità di sopravvivenza della rinnovazione naturale delle specie più esigenti. I giovani soggetti, da soli, non sarebbero in grado di sostituire gli alberi adulti già morti. I boschi matesini, tutti fortemente antropizzati, qualora privati degli interventi colturali, sarebbero condannati, in tempi brevi, a mutare l’aspetto attuale e, forse, anche ad estinguersi. La foresta antropizzata è così assuefatta all’intervento umano, che non può fare a meno di esso per mantenersi in equilibrio, anche se instabile ed artificialmente indotto. La foresta deve essere gestita. Il concetto di lasciare la copertura forestale all’evoluzione naturale può essere condiviso solo se veramente si tratti di foresta vergine. Però questa non esiste più, almeno nelle nostre regioni. Analizzare e prendere le decisioni, utili caso per caso, è compito dell’assestamento forestale. L’assestamento consiste nella pianificazione delle attività da compiere in bosco, così che esso possa svolgere tutte le proprie funzioni: idrogeologica, produttiva, turistico-ricreativa, paesaggistica, ecc. Lo strumento di pianificazione forestale, redatto con le finalità sopra esposte è il “Piano di Assestamento Forestale” (P.A.F.). Il piano di assestamento forestale è un documento di importanza fondamentale, di durata decennale, in cui viene realizzato l’inventario dei beni forestali di proprietà comunale e, successivamente, la pianificazione degli interventi colturali necessari per ottenere le finalità dell’assestamento forestale. Il piano di assestamento mira essenzialmente al miglioramento delle condizioni ecologiche della foresta, assicurando la continuità della copertura forestale e delle sue funzioni, in tutti i casi. Il P.A.F. è redatto in base a precise disposizioni normative (in Campania, attualmente, la L.R. 11/1996 - legge forestale regionale) ed è soggetto ad approvazione dei competenti Organi regionali. Quando approvato, il P.A.F. assume forza di Regolamento di legge. Tutte le operazioni necessarie per ottenere le finalità dell’assestamento forestale si concretizzano in interventi selvicolturali da realizzare in tempi, luoghi e modalità che sono esattamente definiti nello stesso piano di assestamento. Questi interventi, quali i tagli boschivi e tutte le attività selvicolturali, anche connesse al miglioramento o ripristino dei soprassuoli arborei degradati, sono attività strettamente coerenti e funzionali alla conservazione della copertura forestale. Tutti gli interventi in bosco (principalmente i tagli) vengono regolarmente e scientificamente progettati, e sono assolutamente soggetti alle norme della legge sopra richiamata (e non solo essa) e necessitano di un complesso iter amministrativo, per poter essere autorizzati. Il taglio degli alberi a Bocca della Selva era regolarmente previsto nel P.A.F., è stato realizzato in seguito ad una regolare progettazione e, soprattutto, ha preventivamente conseguito tutte le autorizzazioni e pareri previsti dalla legge. Pertanto, bisogna stare attenti quando si parla di “taglio illegittimo di oltre 2000 faggi di alto fusto su circa 30 ettari di bosco” e di “distruzione … omissis …. camuffata mediante improbabili leggi e regolamenti e con il placet di Regione, Provincia e Comune”: si potrebbe anche essere chiamati a risponderne in giudizio. Arrivando allo specifico, sul web e sui quotidiani si leggono numeri lanciati a caso, magari in seguito a “qualche informale indagine”, al solo scopo, immagino, di impressionare il lettore. Prescindendo dal fatto che, ripeto, prima di straparlare, sarebbe opportuno informarsi compiutamente, sembra anche che qualche informale indagatore non sia in grado di leggere un progetto né, ancor peggio, sappia far di conto. Leggo sul web di “... un totale di 70000 quintali di legna ...” da tagliare: nella relazione del progetto (atto formale ed ufficiale) è scritto che la massa legnosa da abbattere è di 1.610 tonnellate che, nel sistema metrico decimale (che, sembra, in Italia si insegni già nella scuola elementare), equivalgono a 16.100 quintali, altro che 70.000! Leggo anche che “La superficie di bosco destinata al taglio è di circa 30 ettari”. Nel progetto di taglio del bosco è scritto chiaramente che la superficie destinata al taglio è, in realtà, di circa 41 ettari (40,91 per la precisione). Quante persone sanno quanto sono estesi 40,91 ettari di territorio? Un ettaro equivale a 10.000 metri quadrati e, quindi, sempre nel sistema metrico decimale, 40,91 ettari sono 409.100 metri quadrati. In termini di paragone, usando simboli più largamente comprensibili, 40,91 ettari equivalgono a oltre 57 volte il terreno di gioco dello stadio Meazza di Milano. Poi, sembra che si voglia trasmettere l’idea che si abbatteranno tutti gli alberi dei trenta (o quaranta) ettari e ciò non è affatto vero, gli alberi da tagliare (in numero preciso di 2.076) rappresentano soltanto una minima parte degli alberi presenti e, per di più, non sono tutti alberi grossi, ce ne sono di tutte le dimensioni. Sui 40,91 ettari interessati dal taglio sono presenti (è scritto nel P.A.F., ammesso che se ne conosca l’esistenza e, soprattutto, si sia in grado di leggerlo) 11.618 piante. Abbattere 2.076 piante su 11.618 significa eliminare il 17,86% degli alberi presenti. In termini di massa legnosa (è scritto sempre nel P.A.F.), le 11.618 piante pesano 92.750 quintali. Eliminare piante per un peso di 16.100 quintali significa asportare il 17,35% della quantità di legno presente. Considerato che (come insegna la tecnica selvicolturale e come da prescrizioni del P.A.F.) in siffatto bosco sarebbe necessario tagliare circa il 25% della massa legnosa presente, è matematicamente indiscutibile il fatto che si stia agendo con criterio oltremodo prudenziale. Tagliare ancor meno non farebbe affatto il bene del bosco, perché la presenza di una copertura di chiome troppo folta renderebbe impossibile la nascita delle giovani piantine (per la scarsità di luce al suolo) e, senza il taglio colturale scientificamente eseguito, quando saranno naturalmente morti gli alberi adulti (piaccia a no è questo che succederà: ogni vivente, prima o poi, muore), senza che essi abbiano potuto rinnovarsi, potrebbero non esserci più gli alberi grandi, né quelli piccoli, ossia potrebbe sparire il bosco: è ciò che si vuole? Gli alberi da abbattere, grandi e/o piccoli, sani e/o malati che siano, vengono scelti singolarmente, uno per uno, seguendo un criterio scientifico che si apprende in ambito accademico e si consolida con l’esperienza professionale. Ogni bosco ha una propria storia ed un proprio presente ecologico e sono questi i fattori che guidano il selvicoltore nella gestione del bosco; solo il selvicoltore sa “leggere” il bosco, nessun altro. La selvicoltura è la traduzione in pratica dell’ecologia forestale e la determinazione del numero di piante da abbattere per ogni bosco discende dalla precisa applicazione di una tecnica selvicolturale perfezionata da secoli e secoli di fattive esperienze. Vuoi vedere che occorre davvero una laurea in Scienze Forestali? E’ l’applicazione della selvicoltura che protegge e conserva il bosco. Di tanto esiste ampio e soddisfacente riscontro tecnico-scientifico nella letteratura forestale italiana (vedasi: Pavari, De Philippis, Cappelli, Ciancio, La Marca, Bovio, Hippoliti, ecc.) ed europea. Blaterare astrattamente di distinzione tra “bosco produttivo” e “bosco protetto” così come si legge in giro serve solo ad aumentare la confusione e, forse, ma spero di no, a gettare ombre su un settore accademico e professionale già ordinariamente negletto. A chiunque volesse conoscere, anche in breve, solo per migliore comprensione di alcuni fenomeni, cosa siano le scienze forestali e come funzioni, realmente, un ecosistema boschivo, offro volentieri la mia disponibilità: oltre a fare “selvicoltura” è giunto il tempo di fare anche “selvicultura”. Allego una foto, scattata in data 04/07/2010 dall’amico prof. Mario L. Capobianco, che ritrae proprio la zona boschiva oggetto di taglio, un mese dopo l’inizio dei lavori. Se qualcuno è in grado di farlo, indichi dove sarebbe lo “scempio ambientale”!
Cordiali saluti. dott. for.
Tito Angelici
PIEDIMONTE MATESE (CE)