A quanti seguono con attenzione lo sviluppo “nebuloso” della Sanità istituzionale nel settore degli espianti/trapianti, vogliamo sottoporre l'articolo dell'Economist, da noi tradotto, che segnala un lavoro di ricerca sul coma vegetativo pubblicato su BCM Neurology del 21/07/09 (“Diagnostic accuracy of the vegetative and minimally conscious state: Clinical consensus versus standardized neurobehavioral assessment” di Schnakers, Vanhaudenhuyse, Giacino, Ventura, Boly, Majerus, Moonen e Laureys), tema di particolare attualità nella sua complessità. L'articolo ci è stato trasmesso dai colleghi medici inglesi, che lo hanno visto come passo avanti nella critica alle certezze sul coma e come speranza di sviluppo di critica alla cosiddetta "morte cerebrale".
L'importanza di questo articolo sta principalmente nel fatto che gli stessi neurologi ammettono che non ci sono certezze e che sono stati fatti considerevoli errori di diagnosi, quindi è incomprensibile che si possa sostenere la “morte cerebrale” a cuore battente ed imporla, considerato che anche in quella non ci sono certezze.
Questo studio contrappone fra loro due indirizzi autoritari nei confronti del paziente, neurologi che rivendicano la loro professionalità e abilità di giudizio e altri che ne contestano sia le abilità che l'onestà e propongono protocolli di classificazione standard. A noi resta il sospetto che, pur in buona fede, si possa profilare un protocollo autoritario sullo stato vegetativo similare al protocollo autoritario che impone la "morte cerebrale" e quindi il rischio futuro di prelievo di organi dei dichiarati in coma vegetativo permanente. Ci sono delle Consulte di bioetica che hanno già proposto l'equiparazione dello stato vegetativo permanente alla morte.
Comitato MedicoProf. Dott. Massimo BondìL.D. Pat. Chir. e Prop. Clin. Univ. La Sapienza RomaPatologo e Chirurgo generale
PresidenteNerina Negrello
Buona lettura!
Sulla diagnosi del coma:
Sorte avversa per qualcuno...
23 Luglio 2009 da The Economist edizione stampata
Tradotto da Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi e la Morte a Cuore Battente
Uno studio recentemente pubblicato sostiene che molte persone a cui è stato diagnosticato uno stato vegetativo, non lo sono
E' una questione di “etichette”. Veramente possono fare la differenza tra la vita e la morte. Una persona in un letto di ospedale con un’etichetta con la scritta “stato di minima coscienza” sarà sottoposta ai trattamenti di sostegno alla vita a tempo indeterminato. Se sull’etichetta è scritto “stato vegetativo” questi trattamenti possono essere sospesi in qualsiasi momento. Un profano può non capire la differenza, ma un medico sì.O no? Caroline Schnakers, Steven Laureys e loro colleghi dell’Università di Liège hanno appena pubblicato un preoccupante studio sul ‘BioMed Central Neurology’ che sostiene che forse non è così. Forse un medico non può capire la differenza o peggio, preferisce usare la sua intuizione piuttosto che usare le ultime tecniche diagnostiche per affermare la differenza. Di conseguenza, molte persone potrebbero rischiare la sospensione dei trattamenti di sostegno alla vita anche quando hanno segnali intermittenti che la loro coscienza non è del tutto scomparsa. I pazienti in stato vegetativo sono quelli che non mostrano alcun segno di coscienza e i tribunali di molte nazioni possono prendere in considerazione le istanze per l’interruzione dell’alimentazione e idratazione, permettendo loro di morire (come è successo nel caso molto mediatizzato di Terry Schiavo, in Florida, qualche anno fa), per poi espiantare i loro organi per trapianti. I pazienti che mostrano segni di coscienza -quelli che sono in grado di obbedire ad un comando, per esempio sbattere le palpebre o seguire con gli occhi un oggetto in movimento- vengono definiti ‘non vegetativi’ e questa sorte viene loro risparmiata. Ci sono delle prove che questi pazienti, a differenza dei pazienti in stato vegetativo, possono sentire il dolore e quindi ci si impegna ad alleviare la loro sofferenza e a riabilitarli. Tutti sono d’accordo che distinguere tra questi due tipi di coma non è mai stato facile. Anzi nel 1996 Keith Andrews e i suoi colleghi del ‘Royal Hospital for Neurodisability’ di Londra hanno trovato che il 40% dei loro pazienti in stato vegetativo erano stati diagnosticati erroneamente. All’inizio di questo decennio però i medici hanno avuto a disposizione due nuove tecniche e ci si aspettava perciò che le cose migliorassero.
Un battito di ciglia, e puoi scamparla
Uno dei metodi innovativi era una nuova categoria diagnostica - lo stato di minima coscienza. Questo descrive pazienti che stanno un po' meglio di quelli nello stato vegetativo, perché mostrano oscillanti segni di coscienza. Ad esempio, qualche volta, ma non sempre, potrebbero passare il test del riflesso palpebrale. L’altro nuovo metodo era la “JFK Coma Recovery Scale” (una scala di recupero dal coma). Questo consiste in oltre 20 test clinici e si caratterizza nella possibilità per i medici di distinguere non solo i pazienti in stato vegetativo da quelli in stato di minima coscienza, ma anche quelli che sono usciti dallo stato di minima coscienza. Questo metodo è ampiamente accettato in quanto dà una diagnosi accurata di queste condizioni. Ma lo stanno applicando?
Lo studio del team di Liège, ritiene di no. Hanno confrontato le diagnosi di 103 pazienti secondo l’opinione dei medici curanti e quelle determinate dalla scala di recupero dal coma. Di questi pazienti presi in considerazione, 44 sono stati diagnosticati dai medici curanti in coma vegetativo, mentre la scala di recupero del coma indicava che 18 dei 44 fossero in uno stato di minima coscienza. Questa è la stessa percentuale di errore – circa 40% - che il dott. Andrews aveva rilevato 13 anni prima a Londra. Sembra anche che 4 di 40 pazienti diagnosticati in stato di minima coscienza, ne erano poi usciti. Sebbene i loro medici non l’avessero notato, questi pazienti erano a quel punto in grado di comunicare.
La conclusione cauta del Dr Laurey è che i neurologi non vogliono che la loro abilità diagnostica venga rimpiazzata o superata da una scala di recupero. Ritiene che lo stato di minima coscienza sia una diagnosi relativamente nuova ed è possibile che qualche medico non sia ancora a suo agio con il criterio, ma questa è una ragione in più per utilizzare la scala di recupero. Il guaio di una diagnosi basata sulla convinzione dei medici, piuttosto che su una misurazione, è che essa è soggetta alle influenze esterne, ad esempio delle compagnie assicurative che secondo Dr Laurey preferiscono una diagnosi di stato vegetativo ad una diagnosi di stato di minima coscienza, perché coloro che sono in stato vegetativo non richiedono costose riabilitazioni.
Tutto ciò è inquietante. E’ vero che lo studio di Liège è una singola ricerca, ma se fosse riproposta altrove metterebbe in discussione sia il trattamento dei pazienti più vulnerabili, che la serietà dei medici nei confronti degli strumenti a loro forniti dalla scienza con fatica.
Fonte: LEGA NAZIONALE CONTRO LA PREDAZIONE DI ORGANIE LA MORTE A CUORE BATTENTE