 Con recente
			decisione, il Tribunale di S. Maria C.V. ha accolto la domanda di
			un giovane dipendente di una società di contabilità della
			Confesercenti dichiarando nullo il licenziamento irrogatogli e
			risarcibile il danno da mobbing. Il giuslavorista
			della CISL, avvocato Domenico Carozza, che ha assistito e
			rappresentato il lavoratore, ha ritenuto che dai fatti narratogli
			si configurasse il motivo ritorsivo e discriminatorio del recesso
			nonché l’intento persecutorio e vessatorio finalizzato
			all’espulsione dall’organizzazione del lavoro. Il giudice ha
			accolto le tesi difensive concordando che i fatti emersi dalla
			prova testimoniale delineassero le figure giuridiche individuate
			dal legale; e’ risultato, infatti, che il lavoratore era stato
			vittima di un progressivo demansionamento nonché di comportamenti
			diffamanti dei suoi superiori gerarchici e, infine, della
			esclusione dalle riunioni periodiche a cui erano chiamati a
			partecipare i suoi colleghi sino al licenziamento giustificato con
			un’inesistente “eccessiva morbilità”. Tali vicissitudini
			hanno avuto origine allorquando era stato evidenziato al
			Presidente dell’Associazione per cui la società datrice di
			lavoro effettuava la contabilità gravi irregolarità nella
			destinazione dei fondi.
Con recente
			decisione, il Tribunale di S. Maria C.V. ha accolto la domanda di
			un giovane dipendente di una società di contabilità della
			Confesercenti dichiarando nullo il licenziamento irrogatogli e
			risarcibile il danno da mobbing. Il giuslavorista
			della CISL, avvocato Domenico Carozza, che ha assistito e
			rappresentato il lavoratore, ha ritenuto che dai fatti narratogli
			si configurasse il motivo ritorsivo e discriminatorio del recesso
			nonché l’intento persecutorio e vessatorio finalizzato
			all’espulsione dall’organizzazione del lavoro. Il giudice ha
			accolto le tesi difensive concordando che i fatti emersi dalla
			prova testimoniale delineassero le figure giuridiche individuate
			dal legale; e’ risultato, infatti, che il lavoratore era stato
			vittima di un progressivo demansionamento nonché di comportamenti
			diffamanti dei suoi superiori gerarchici e, infine, della
			esclusione dalle riunioni periodiche a cui erano chiamati a
			partecipare i suoi colleghi sino al licenziamento giustificato con
			un’inesistente “eccessiva morbilità”. Tali vicissitudini
			hanno avuto origine allorquando era stato evidenziato al
			Presidente dell’Associazione per cui la società datrice di
			lavoro effettuava la contabilità gravi irregolarità nella
			destinazione dei fondi.
Il
			Giudice, benché la società non raggiungesse il requisito
			dimensionale previsto per l’applicabilità dell’art.18 dello
			Statuto dei lavoratori, ne ha affermato ugualmente l’applicazione
			al caso di specie avendo individuato l'ipotesi del licenziamento discriminatorio adottato
			dal datore di lavoro con il precipuo intento punire il lavoratore
			che aveva formulato rivendicazioni.
			Lo stesso Giudice, inoltre, ha condannato la società al
			risarcimento del danno biologico avendo verificato la sussistenza
			del nesso di causalità tra i predetti fatti e la sindrome ansioso
			depressiva occorsa al lavoratore e certificata dal persone medico
			dall’Ospedale Civile di Caserta.