11 giugno 2013

In tema di licenziamento disciplinare, è onere del datore di lavoro di provare la sussistenza dei fatti che si imputano al lavoratore commessi in violazione dei doveri di diligenza e fedeltà.



Un lavoratore iscritto alla Filca Cisl di Napoli subiva un licenziamento disciplinare. Il datore, che impiegava l'operaio con mansioni autista, contestava al dipendente di essere stato responsabile delle avarie che erano occorse all'automezzo aziendale che utilizzava e di non provvedere ai regolari rifornimenti di carburante perché selezionava solo le stazioni di rifornimento dove poteva accumulare punti su una propria personale carta fedeltà. Il lavoratore chiedeva l'assistenza dell'avv. Domenico Carozza per impugnare l'espulsione davanti al Giudice del Lavoro. Il lavoratore obbiettava, in particolare, che in diverse occasioni i gestori delle stazioni di servizio avevano rifiutato il pagamento del carburante con la carta di rifornimento fornita dalla azienda e che, pertanto, era stato costretto a provvedere con proprio danaro al pagamento per le provviste di carburante. Lo stesso puntualizzava che i guasti ai veicoli erano cagionati dalla cattiva, se non proprio omessa, manutenzione degli stessi da parte della società. In tema di licenziamento disciplinare, secondo l'orientamento costante della Corte di Cassazione, è onere del datore di lavoro di provare la sussistenza dei fatti che si imputano al lavoratore commessi in violazione dei doveri di diligenza e fedeltà. Sennonché, nel corso del processo, i fatti contestati al lavoratore non venivano riscontrati. Anzi, emergeva che in più occasioni il lavoratore era stato costretto ai soccorsi stradali nel cuore della notte perché l'automezzo non era efficiente, che in diverse circostanze aveva dovuto pagare il carburante con proprie risorse e che le carte di pagamento elettronico fornite dal datore di lavoro erano sovente difettose e di ciò al lavoratore non veniva mai data preventiva notizia. Nel corso del processo si appurava anche che la società aveva costretto alcuni dipendenti a firmare dei documenti ove era contenuta una falsa ricostruzione dei fatti sotto la minaccia del licenziamento. Il Giudice del lavoro ha, quindi, dichiarato illegittimo il licenziamento. La società non contestava, inoltre, il requisito dimensionale dell'organico né provvedeva in alcun modo a provare l'effettiva consistenza della propria azienda. In applicazione della tutela reale, la società è stata, quindi, condannata alla reintegra del lavoratore e al pagamento del risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni dal giorno del licenziamento sino al giorno della reintegra oltre al pagamento dei contributi assistenziali e previdenziali.