SALERNO – Il rapporto di Ismea in
collaborazione con Cibus e Federalimentare mostra una fotografia del food &
beverage nel Mezzogiorno. Sempre più dinamico il comparto agroalimentare in
Campania. Le imprese agricole sono 61.951 e le industrie dell’alimentare 8.755
(dati Ismea 2018). È quanto emerge dal Rapporto sulla
Competitività dell’Agroalimentare nel Mezzogiorno, presentato oggi da ISMEA, Fiere
di Parma e Federalimentare presso l’Università
degli Studi di Salerno. Lo studio evidenzia come i recenti mutamenti dello
scenario globale abbiano sostenuto una crescita senza precedenti delle
esportazioni del Made in Italy alimentare, grazie a una
ritrovata coerenza del modello di specializzazione agroalimentare italiano con
le tendenze della domanda mondiale, che ha spinto l’export agroalimentare del
Sud a toccare la cifra di 7 miliardi di euro nel 2018. Nel Mezzogiorno, nonostante
il consistente e duraturo impatto della crisi economica iniziata nel 2008, il
permanere di un tessuto imprenditoriale caratterizzato da imprese medio-piccole
e, più in generale, la conferma di alcuni storici limiti allo sviluppo
economico, il settore agroalimentare è cresciuto, nell’ultimo triennio, in
termini di valore aggiunto - che supera i 19 miliardi di euro
-, di numero di imprese - 344 mila imprese agricole e 34 mila
imprese dell’industria alimentare - e di occupati, che si attestano
a circa 668 mila unità, pari al 10% del totale occupati al Sud. Anche il
confronto con il Centro-Nord mette in evidenza come, nello stesso periodo,
il fatturato dell’industria alimentare sia cresciuto più al
Sud (+5,4%) che nel resto del Paese (+4,4%). La specifica composizione
settoriale, l’elevata incidenza delle medie imprese – che si
sono rivelate quelle più dinamiche e in grado di adattarsi ai mutati scenari –
oltre che il determinante contributo delle imprese di più recente costituzione,
hanno consentito all’agroalimentare del Mezzogiorno di ottenere performance di
tutto rispetto e, in taluni casi, superiori a quelle dei corrispondenti settori
del Centro-Nord. Performance positive hanno riguardato soprattutto alcune
filiere come caffè, cioccolato e confetteria (+14%), prodotti
da forno (+18%), olio (+21%); in generale, un
rinnovamento generazionale e la presenza di imprese più giovani hanno
determinato maggiore dinamicità e capacità di rispondere alle esigenze del
mercato. Tra gli elementi più critici, soprattutto pensando alla necessità di
agganciare il treno dell’innovazione, preoccupano i bassi livelli di
immobilizzazioni nelle imprese del Mezzogiorno e il fatto che esse siano
sostanzialmente tecniche con poca attenzione a quelle immateriali. “Lo
studio di ISMEA descrive il sistema agroalimentare meridionale come una realtà
in forte espansione - ha detto Elda Ghiretti, Cibus and Food Global
Coordinator, Fiere di Parma - Un dato confermato anche dall’aumento
della partecipazione delle aziende del Sud a Cibus, passata negli ultimi 5 anni
dal 17% al 36%. Cibus è la fiera alimentare di riferimento all’estero e vede la
partecipazione di migliaia di buyer internazionali. La cresciuta partecipazione
delle imprese meridionali a Cibus ha contribuito – ha riferito Ghiretti –
all’aumento dell’export dei prodotti agroalimentari del Meridione che nel 2018
aveva toccato la quota di 7 miliardi e 110 milioni di euro, con un aumento del
6,1% nel quadriennio 2015/2018. Un dinamismo sostenuto anche dalla creazione di
nuove forme di aggregazione private, come consorzi e associazioni, che
consentono anche ad imprese di medie dimensioni di interloquire con importatori
e distributori esteri”. “Un trend positivo quello del nostro settore nel
Mezzogiorno sia in termini occupazionali che in termini di
fatturato – ha aggiunto il direttore di Federalimentare, Nicola
Calzolaro – con grandi margini di crescita su diversi fronti. Uno
su tutti, l’export. L’agroalimentare del Sud, infatti, è ancora molto orientato
al mercato italiano e poco alle esportazioni che rappresentano meno del 20% di
quelle totali del Paese. Una porzione davvero troppo piccola se si pensa alla
potenzialità del nostro sud e all’importanza strategica dell’export per
l’Italia. È necessario, dunque, l’impegno di tutti per farlo crescere e questo
può avvenire attraverso l’innovazione, ma soprattutto attraverso un
potenziamento della rete infrastrutturale senza la quale non si potranno mai
sfruttare appieno le grandi possibilità dell’alimentare nel Mezzogiorno. “L'agroalimentare
nel Mezzogiorno riveste un ruolo sempre più rilevante, con primati in molti
settori e una buona tenuta economica, segnali positivi che vanno letti con
attenzione – ha dichiarato Fabio Del Bravo; occorre
rafforzare adeguatamente la fase agricola e la sua integrazione con la parte a
valle della filiera, favorire gli investimenti – soprattutto in innovazione – e
prendere atto dei limiti, per esempio strutturali, individuando percorsi che
già nel breve possano portare benefici: una maglia produttiva di dimensioni
piccole è certamente un problema su molti fronti, ma lo è molto di più per le
produzioni standardizzate che fronteggiano concorrenza di prezzo, piuttosto che
per i prodotti differenziati del made in Italy. Incentivare forme di
aggregazione e l’orientamento a produzioni tipiche che in quest’area hanno
ancora molte potenzialità inespresse, può rivelarsi una leva strategica
importante e può avviare un percorso di successo realmente attuabile”.
Pietro Rossi