Elsa Fornero |
Il Ministero del lavoro ha fornito indicazioni sulla procedura
conciliativa legata ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo
prevista dall’art. 7 della Legge n. 604/1966, riformulato dalla Legge n.
92/2012 (c.d. riforma Fornero). La recente disposizione affida alla commissione
provinciale di conciliazione istituita ex art. 410 c.p.c., il compito di
espletare il tentativo di conciliazione che deve precedere il recesso. La
procedura pone un intervallo temporale tra il momento in cui il datore di
lavoro manifesta la propria volontà di cessare il rapporto, comunicata al
lavoratore interessato e quello nel quale il licenziamento esplica i propri
effetti. Sono tenuti al rispetto della norma tutti i datori di lavoro che in
ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo occupino
alle proprie dipendenze più di 15 unità (più di 5 se imprenditori agricoli),
i datori che nello stesso ambito comunale occupino più di 15 lavoratori, pur
se ciascuna unità produttiva non raggiunga tali limiti (per l’imprenditore
agricolo dimensionato oltre le 5 unità vale lo stesso principio) e, in ogni
caso, a chi occupa più di 60 dipendenti. La motivazione del licenziamento per
cui occorre attivare la procedura deve essere riferibile ad un giustificato
motivo oggettivo, secondo quanto prevede l’art. 3, seconda parte, della L. n.
604/1966, ovvero a ragioni inerenti l’attività produttiva è una scelta
riservata all’imprenditore. Il Ministero del Lavoro non ritiene invece
ricompreso nell’ambito dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo il
licenziamento avvenuto per superamento del periodo di comporto. Il datore di
lavoro rientrante nel campo di applicazione della norma che intende procedere
ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo è obbligato ad inviare
una comunicazione scritta alla Direzione del lavoro e trasmetterla per
conoscenza al diretto interessato. Il nuovo art. 7 della L. n. 604/1966 individua attraverso il solo luogo di
svolgimento dell’attività del dipendente
l’organo ministeriale competente per territorio. La comunicazione
datoriale va effettuata per iscritto ed indicare la motivazione del recesso e
la descrizione delle misure eventuali di assistenza alla ricollocazione. La
Direzione territoriale del lavoro che ha ricevuto la comunicazione datoriale
deve convocare le parti avanti alla commissione provinciale di conciliazione
entro il termine perentorio di 7 giorni dalla ricezione dell’istanza. In caso
di legittimo e documentato impedimento del lavoratore a presenziare
all’incontro procedura può essere sospesa per un massimo di quindici giorni.
La procedura di conciliazione si deve concludere entro 20 giorni dal momento
in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per
l’incontro. In presenza di un legittimo e documentato impedimento del
lavoratore a presenziare alla riunione fissata per il tentativo di
conciliazione, per un periodo massimo di 15 giorni. In caso di fallimento del
tentativo di conciliazione, il datore di lavoro può procedere al
licenziamento del lavoratore individuato. In alternativa, se per una
qualsiasi ragione non è stata effettuata la convocazione per il tentativo di
conciliazione richiesto, il datore può procedere con proprio atto di recesso
unilaterale, trascorsi i 7 giorni dalla ricezione della propria richiesta di
incontro da parte della Direzione territoriale del lavoro. Il licenziamento
adottato al termine della procedura conciliativa ha effetto “dal giorno della
comunicazione con cui il procedimento è stato avviato”, ossia dal giorno di
ricezione, da parte dell’Ufficio, della comunicazione datoriale relativa al
“preavviso di licenziamento”, salvo l’eventuale diritto del lavoratore al preavviso o alla
relativa indennità sostitutiva. Ferma restando la nullità del licenziamento
intervenuto in costanza di maternità/paternità, gli effetti del licenziamento
rimangono sospesi in caso di impedimento derivante da infortunio occorso sul
lavoro. Il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si
considera come “preavviso lavorato”, con corrispondente riduzione della
relativa indennità in ragione della retribuzione corrisposta nello stesso
periodo. La risoluzione consensuale del rapporto al termine della procedura
obbligatoria di conciliazione consentirebbe comunque al lavoratore il diritto
al “godimento” dell’Assicurazione Sociale per l’Impiego. La risoluzione
consensuale del rapporto sottoscritta avanti alla commissione provinciale di
conciliazione sarebbe, infine, anche esaustiva rispetto alla procedura
formale prevista per garantire la genuinità delle dimissioni e delle
risoluzioni consensuali.